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Per gli amici di SpazioNapoli questa settimana abbiamo avuto il piacere di intervistare Massimiliano Esposito, ex calciatore del Napoli e attuale commissario tecnico della nazionale italiana di Beach Soccer. Passiamo subito all’intervista:

La prima domanda è d’obbligo sullo stato di forma del tuo Napoli. Sono passati tanti anni da quando hai indossato la maglia azzurra, adesso che il Napoli di nuovo lassù, che pensi?
Il Napoli sta passando un anno meraviglioso grazie anche alla guida impeccabile di mister Mazzarri. Sono passati molti anni da quando ho indossato la maglia della mia città e purtroppo non erano bei momenti,ora rivedere il Napoli lassù che lotta x lo scudetto fa solo che piacere.

Firmi il tuo primo contratto a Catanzaro non appena che diciottenne. Eri già consapevole allora che saresti arrivati a giocare nel calcio che conta? Che cosa ti sei lasciato alle spalle a Catanzaro?

A Catanzaro è stata la mia primissima esperienza lontano da casa. Sono arrivato bambino e sono ripartito uomo: ho imparato tanto soprattutto perché ho dovuto a badare da solo a me stesso.

A Reggio Emilia arriva la tua grande chance. Al primo anno di serie A non smentisci. Quanto devi a Marchiorio che ti ha lanciato giovanissimo?

Giuseppe Marchioro per me è stato come un padre. Grazie al suo coraggio ho avuto la possibilità di esordire in A e grazie ai suoi consigli ho fatto il gol decisivo al Milan che ci ha permesso di rimanere in A.

Il tuo primo anno di Serie A lo giochi alla grande. Memorabile il tuo gol a San Siro contro la corazzata di Capello. Da quel momento in poi la tua carriera cambiò oppure fu solo il momento più alto di quella stagione?

Ovviamente il gol al Milan rimane nella storia della Reggiana. Sicuramente c’è altro nella mia carriera vedi Lazio, Napoli e il Brescia con Baggio e Guardiola.

L’anno dopo non riuscisti a salvare la compagine emiliana, ma le tue perfomance di portarono a Roma, sponda Lazio. Era la Lazio dell’era Cragnotti, di Zeman e dei giovani “Nesta” e “Di Vaio”. Ci racconti qualche aneddoto sulla tua esperienza laziale, perché la tua avventura durò solo una stagione?

L’approdo alla Lazio di Zeman fu semplicissimo visto che lui mi voleva già dai tempi del Foggia. Purtroppo dopo una partenza bellissima(doppietta alla prima di campionato) mi infortunai ad una gamba, la quale pregiudicò il mio campionato. A fine anno ci fu la possibilità di ritornare finalmente a casa,  cioè a Napoli nel mio NAPOLI e così feci.

Quant’è stato forte il richiamo del San Paolo? I tifosi di battezzarono il “piccolo maradona”, perché il tuo aspetto e la tua capigliatura quell’anni davano l’impressione di Diego. Ci racconti qualche curiosità di spogliatoio di quel fantastico 1996?

Napoli l’ho voluto con tutto me stesso. Non è stato difficile ma sicuramente c’erano molte altre squadre di A che mi corteggiavano. Per un napoletano DOC come me giocare al San Paolo e indossare quella maglia significava il coronamento di un sogno.

Il 1997 non regalo le stesse soddisfazioni. Secondo te perché ci fu quel calo vertiginoso?

Il 1997 è stato l’inizio della crisi gestionale di Ferlaino e da lì infatti iniziarono i problemi del Napoli purtroppo…

Non essere rimasto a Napoli nell’anno più buio della sua storia, ovvero il 1997/1998, quant’è stato utile ai fini della tua carriera, o non avrebbe inciso minimamente?

Sono dovuto andare via da Napoli per tanti motivi. Avevo un contratto di quattro anni e sicuramente volevo finire la carriera nella mia città,  ma come detto prima le problematiche societarie erano molteplici e quindi fui costretto ad andare via a malincuore.

L’anno seguente ti trasferisti nella malvista  Verona in serie B. Come sempre noi tifosi ci siamo chiesti perché? Ci spezzi questo cattivo luogo comune? Eppure tra i calciatori napoletani e Verona c’è un certo feeling, perché questo non avviene per le rispettive tifoserie?

Al di là dei contrasti che ci possono essere tra le tifoserie a Verona sono stato benissimo. Posso dire che sono stato trattato veramente bene, infatti ricordo ancora il rientro da una trasferta: tutti contestati, giocatori, allenatore, società e dirigenti, l’unico che lasciarono in pace fui io!

Ritornasti a Napoli per un altro anno di B, in panchina c’era ulivieri che ogni settimana modificava l’assetto della formazione, schierando  un undici di partenza diverso ogni settimana. Questo incise nell’andamento della squadra, o fu solo una stagione mediocre? Quell’anno se non erro realizzasti un grande gol su punizione, ce lo racconti?

L’anno di Renzo Ulivieri doveva essere quello della risalita in A, ma i problemi erano ancora tanti e quindi i risultati furono mediocri. Il gol su punizione lo realizzai a Torino. Perdevamo ingiustamente 2-1 quando a metà secondo tempo ci fu assegnata una punizione a limite dell’area. Ricordo ancora i battibecchi con Lopez che voleva calciare a tutti i costi. Io ero sicuro di  me, avevo una sensazione positiva. Infatti realizzai un fantastico 2-2.

Hai avuto la fortuna di conoscere Mazzarri nella sua fase di apprendistato nell’era Ulivieri. Quali erano i suoi compiti di allora, che ruolo aveva con voi calciatori? Ci racconti qualche curiosità inedita per i nostri lettori?

Credo che la fortuna di un allenatore, in questo caso Walter Mazzarri , sia quella di avere avuto un maestro come Ulivieri, un abile stratega. In più Mazzarri ci sa fare con i propri giocatori,  è più attento alle problematiche del gruppo ed è meno schematico.

Perché per i calciatori napoletani la maglia del Napoli è sinonimo di grandi responsabilità?  ? E’ la pressione dei propri conoscenti, dei tifosi-amici che stando nell’ambito familiare, oppure l’emozione di giocare nella propria squadra del cuore a  creare possibili contraccolpi psicologici?

Noi napoletani siamo passionali in tutto, soprattutto nel calcio. Se un calciatore  ci tiene a fare bene il proprio lavoro, pensa un napoletano nella propria città, con la maglia della squadra che tifa fin da quando era piccino.

Dal 1999 al 2002, da Perugia a Brescia, diventi un fedelissimo di Mazzone. Tempo fa anche Pep Guardiola, tecnico (che tu hai avuto modo di conoscere), ha elogiato il suo maestro Mazzone. A te, personalmente, cosa ti ha insegnato?

Carlo Mazzone è una persona eccezionale. Un uomo all’antica che cercava di tenere sempre il gruppo compatto e valorizzava prima l’uomo e poi il calciatore. Ho avuto la fortuna di stare con lui per qualche anno ma anche quella il piacere di giocare con campioni del calibro di Roberto Baggio e Pep Guardiola. Infatti proprio qualche settimana fa il mitico Pep è ritornato a Brescia e ha voluto cenare con qualche ex compagno di squadra di allora, facendoci così un regalo bellissimo.

Hai giocato con l’ultimo pallone d’oro italiano, Roberto Baggio, negli ultimi anni della sua carriera. Oltre ad essere un uomo immagine per eccellenza, come valuti il suo operato da dirigente nella FIGC?

Roby è una persona molto umile ma con grande carisma.  Sono sicuro che saprà apportare le giuste modifiche al sistema calcio attraverso gli organi preposti dalla Figc.

A fine carriera, facendo rotolare la palla sulla sabbia bollente delle spiagge di Lignano Sabbiadoro, ti sei riscoperto fuoriclasse del Beach Soccer. La tua riconversione a questa disciplina nasce per caso oppure perché nutrivi questa passione da anni?

La passione per il beach soccer nasce per caso. Ero in vacanza a Lignano Sabbiadoro quando il presidente di questa squadra mi chiesto se volevo provare a divertirmi ancora con questa nuova disciplina. Devo dire che è andata molto bene.

Oltre alla potenza nel tiro e la grande capacità di resistenza alle temperature, quali sono le caratteristiche tecniche del calciatore da spiaggia?

Nel Beach Soccer ci vuole spirito di sacrificio e passione come in tutti gli sport. Per fare la differenza ci vuole  dimestichezza con la palla e tecnica. Non dobbiamo dimenticarci che se uno è abile può anche divertirsi e far divertire con prodezze balistiche, come ad esempio la rovesciata.

Attualmente sei giocatore e allenatore della nazionale italiana di Beach Soccer. Cosa ne pensi della tendenza ad affidare panchine  importanti a tecnici giovani ?

Questa’anno sarò soltanto ct della nazionale di beach soccer. Il ruolo di player-manager mi è stato assegnato solo per lo scorso anno visto che già avevo iniziato la stagione da giocatore. Secondo me affidare panchine importanti a tecnici giovani e competenti è il presagio verso un futuro migliore, spero che un giorno toccherà anche a me.

Ringrazio Massimiliano Esposito per la disponibilità e la fiducia che ci ha conferito.

Alessandro D’Auria

Articolo modificato 12 Apr 2011 - 14:52

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