Oltre il novantesimo minuto la fatalità non conosce riposo, non fa sconti con la tabella di marcia ed irrompe nella catena degli eventi. I secondi che si accompagnano alla canonica conclusione prima del triple fischio, sono i più intensi, pronti a dire l’ultimo arrivederci ai tatticismi studiati per la partita. Il Napoli conosce bene questa dimensione spazio-temporale, ha costruito gran parte delle sue recenti fortune. La zona Cesarini, oggi ribattezzata anche zona Mazzarri, ha fatto vibrare i sediolini degli spalti del Marassi e del Manuzzi.
Sabato, nei cinque minuti in terra romagnola sono stati devastanti, un terremoto che ha fatto crollare l’edificio chiamato “40 punti” alla squadra Cesenate. La “pazzia” è stato il filo conduttore. Quella di Gianpaolo Pazzini, che si sveste dalla maglia di interista per rindossare quella blucerchiata, si improvvisa Robin Hood e con due agguati in area ruba a ricchi per dare ai poveri suoi ex tifosi una speranza. L’altra pazzia è stata quella del buon Ficcadenti che a venti minuti dalla fine fa un cambio tanto “fatale” che discutibile: toglie l’ago pungente Giaccherini per inserire il pedone Benalouane. L’idea di barricare la vittoria costruendo un fortino difensivo non si è rilevata quella vincente, il suo Cesena fino a quel momento aveva tenuto a distanza i neroazzurri, e con una giusta ripartenza avrebbe potuto colpire la non impeccabile difesa “leonardiana”. L’aver perso progressivamente centimetri di campo rinunciando all’ultima offensiva, insieme alla cara “fatalità”, ha cagionato i bianconeri ad altri 180 minuti alle leggi dell’imprevedibilità.
Domenica, al Marassi quello che non doveva succedere è accaduto: il 3-3 tra Samp e Brescia è il corollario per allungare solo la sofferenza. Le Rondinelle, nella loro classica versione da trasferta, hanno praticato un calcio funzionale al risultato e per tre volte si sono portati in vantaggio, sperando di strappare e portare via con le ali del loro airone il berretto del marinaio doriano. Ma sessanta secondi dopo il fatidico noventesimo, Daniele Mannini ha la forza e l’orgoglio di chi lo scorso ha vissuto un maggio da leone, sulla sua corsia di competenzasalta due avversari e fa partire un destro che tiene a galla la Genova più triste del calcio.
Ieri sera, al San Nicola, nel posticipo di campionato il senso di dignità degli ultimi ha varcato la soglia dell’onorabilità del campionato. Gli ormai retrocessi pugliesi, retrocessi solo per la dura legge dei numeri e non per quella del gioco, con scioltezza si divertono con i più blasonati colleghi giallorossi, ma quando la dea bendata non ti vede di buon occhio nell’arco di una stagione è difficile portare i tre punti. Tre calci di rigori, tre esplusioni, due clamorosi pali negano il 3-2 per i ragazzi di Mutti, ma proprio all’ultimo giro di orologio l’ultimo rimpallo è sfavorevole e non può far altro che sanzionare il retrogusto amaro della dura legge del gol.
Alessandro D’Auria