Senza pensarci su molto tempo, possiamo rievocare due immagini significative. La prima è quella di Franco Baresi in occasione del mondiale americano. E’ indimenticabile il suo lungo pianto sulle spalle di Matarrese perché il numero sei “per antonomasia”, non ha retto il peso della responsabilità per aver sbagliato il suo tiro nella batteria dei rigori nella finale thriller con il Brasile. L’altra immagine è quella di Diego Armando Maradona, quando allo stadio olimpico di Roma non riesce a trattenere le lacrime nel vedere sfilare sotto i suoi la sua coppa del mondo delle notti magiche italiane, un mondiale vissuto da protagonista.
Domenica abbiamo visto sui nostri schermi, o per più fortunati allo stadio, lucciconi agli occhi a due capitani della nostra serie A: Angelo Palombo e Paolo Cannavaro. Il centrocampista toscano della Sampdoria, anima percossa di questo finale di campionato sciagurato, al Marassi non ha retto all’emozione al termine di Samp-Palermo. Lui che si contraddistingue in campo per la sua aggressività e il suo sguardo da pugile professionista, si è chinato ed ha pianto per la retrocessione della sua squadra, e da professionista responsabile è andato a chiedere scusa sotto la curva blucerchiata. Gesto da gentiluomo ed innamorato della propria maglia, amareggiato e triste nell’anima per non essere riuscito ad evitare il peggio.
Dalle lacrime amare del dramma psico-sportivo di Palombo, passiamo alle lacrime meno salate di Paolo Cannavaro, capitano del Napoli. Il trentenne difensore durante i festeggiamenti Champions si lascia andare in un pianto di gioia: un sogno che diventa realtà per chi da sempre ha dato il massimo per la sua squadra del cuore, capace di scendere in campo a testa alta anche quando da beniamino era diventato bersaglio numero 1 della tifoseria. Per il singhiozzare dei capitani si adagia con grazia l’aforisma del premio nobel per la letteratura Hermann Hesse: le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell’anima.
Articolo modificato 25 Gen 2013 - 18:36