Caro Lettore,
immagina che questa rubrica sia nata dalla polvere dei campi in terreno, dall’odore dell’erba dei prati incolti, dagli spalti dei vecchi stadi, dalle mani appese ai reticolati intorno a una pista di atletica, dalle nevrosi del tifo e dalle pagine dei libri di Soriano e Sepulveda. Insomma, dal calcio che tira a campare, che ogni giorno sacrifica sogni e aspirazioni per salvare la sua poesia. È arte spietata il football, ma umana come poche altre, perché assai simile, troppo simile, a quella cosa incomprensibile che è la vita.
Assist racconterà storie, libri, personaggi, gioie e dolori, aneddoti e stranezze intorno a quel mondo affollato di vizi e virtù che è il gioco del calcio.
L’ultimo assist
Anche gli ultimi giocano al calcio. Anche gli ultimi inseguono il pallone per diventare primi. Anche gli ultimi si sentono vincitori e consolano gli sconfitti.
In quella grande disputa che è la vita, la vittoria e la sconfitta scendono sul terreno di gioco e siedono in panchina. Al fischio finale entrambe si guardano negli occhi e, col sudore sulla fronte, la maglia e i pantaloncini sporchi di terra, capiscono che hanno preso parte allo stesso gioco, che per novanta minuti li ha voluti sulla stessa linea d’orizzonte, quell’orizzonte inseguito dal calciatore che s’è messo nei loro panni e ha corso dietro al pallone e all’avversario per una vita intera.
Pier Paolo Pasolini una volta ha scritto: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione.”
Sono eroi del pathos e dell’ammirazione, mentre fanno dell’errore una poesia e dell’azione una prodezza di ribellione. I calciatori attraversano la vita dei tifosi come le azioni si sviluppano sul campo di gioco. Crossano dal fondo come la tentazione quotidiana, correggono un passaggio come il sussurro all’orecchio dell’oratore, piangono la sconfitta e la vittoria con le lacrime di un bambino che ha perduto il pallone.
Nel football c’è tutta la banalità e la malinconia della vita così com’è. Stupida, insignificante e meravigliosa. La retorica e la follia, la politica e la religione. Il grido del goal possiede le ottave della grazia e dell’orrore.
Dove finisce la religiosità di un mondo umano che s’aggrappa alle folle per aspirare al divino?
Io l’ho visto ai piedi nudi dei ragazzi perduti nella favela e a quelli dei poeti usciti dal barrio e dalla borgata, per portarsi con un colpo di tacco la miseria e il genio di un’esistenza che li ha tirati fuori dal cemento e dal terreno, per scaraventarli nella parola e nella gloria.
Il bacio del pallone schiocca dalle labbra del ragazzino vestito di stracci e dalla bocca del campione coperto d’oro come gli idoli prima di Cristo. Il futbol è trasversale. Parla la lingua del lusso e il silenzio della miseria.
E s’apre dunque così questa rubrica che cercherà di raccontare il calcio vissuto, visto e narrato dagli altri. Perché quest’arte umana e corrotta passa per gli assist e le reti non viste dei sogni dei bambini. Percorre l’umana attenzione lungo un traversone che sorvola tutto il mondo. Cade nella mischia, rimbalza nella ressa delle strade e della vita, e al triplice fischio guarda lo spettatore, implorando dal fango l’applauso che lo consegni alla Storia come l’ultimo assist, quello decisivo.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka