Il giusto. Vorrei partire da questo insidioso vocabolo per sollevare la polemica che da tanti anni il giornalismo, e non solo il giornalismo, avrebbe dovuto sollevare. A mani giunte e a gran voce i seguaci del pallone dovrebbero pretendere il riconoscimento del campione disconosciuto dal potere. Il potere che non vuole campioni. Che vuole invece il modello per le generazioni modellabili, ma non vuole il fuoriclasse che alle generazioni racconta che ci si dovrebbe affrancare, dal potere. Il calcio e la sua letteratura, il giornalismo e i mezzi di comunicazione, gli artisti, gli attori, la gente, il mondo, tendono a semplificare sull’investitura di un campione. Oltre a saper giocare meravigliosamente al calcio, certi presunti interpreti di vite straordinarie basta che rientrino nel formato della morale comune. Atroce e disarmante volumetria degli epiloghi dell’ammirazione.
Personalmente credo che i personaggi resi salvifici dalla pubblica opinione, astutamente condotta per mano dai massa media e dal potere, siano i vicari e i sacerdoti del sistema che fa del calcio un’espressione e un esercizio di potere, invece che il nobile sforzo dell’impresa e della poesia. La mitologia contemporanea annovera calciatori, neppure così eccezionali – almeno rispetto ad altri che eccezionali lo sono stati davvero – che si muovono tra reclame pubblicitarie e talk show dove manca l’essenziale. Lo spettacolo. Già perché lo spettacolo, quello vero, è le finte, su una gamba storta, di Garrincha, per molti brasiliani superiore a Pelè, e l’arte inimitabile di George Best. Cruijff giocava in un modo che mai nessun altro calciatore europeo avrebbe più potuto immaginare di tentare. In Italia Gigi Meroni è stata una delle più grandi mezz’ali degli anni ‘Sessanta, Agostino Di Bartolomei il capitano di una Roma mai più rivista.
Eppure, il mito di queste glorie sportive non ha aderito alla mitologia del potere. Non hanno e non occupano le poltrone delle federazioni. Non partecipano alle latenti forme criminogene che infestano e governano il mondo del calcio. Alcuni di questi campioni si opposero al potere, talvolta pagandone le conseguenze. Ma i loro destini, siano essi vivi o morti, non riposano tra le poderose braccia della consolazione della comune opinione borghese. Vi siete mai chiesti quali epiloghi la storia ha riservato a questi personaggi? Alcuni sono vissuti tra la contestazione e l’anticonformismo, tra la povertà e la dannazione, tra l’isolamento e lo smarrimento, finiti nel suicidio, nella miseria, nell’alcolismo e nel dimenticatoio di questo tempo ingrato. Qualcuno si è mai chiesto dove abbiano concluso la loro vita alcuni dei fuoriclasse dell’Olanda degli anni ‘Settanta? Quella squadra inventò il calcio come lo vediamo oggi, ma in pochi corrono a ringraziare i calciatori che resero possibile un geniale miracolo della tattica e della tecnica calcistica. Grandi calciatori sono stati emarginati e indotti all’orlo del suicidio perché in carriera e dopo si rifiutarono di stendere il tappeto al potere.
So che queste parole andrebbero bene per un canto stonato nelle ore notturne, come voci sonanti uscite dalla bocca di due ubriachi a braccetto. Ma quelli come Best, Meroni e Di Bartolomei, Obdulio e Garrincha, e altri che incantarono le folle come davanti a un’opera d’arte apparsa ogni domenica, quelli continuano a giocare, negli stadi chiusi e interdetti all’umana ingratitudine, come attori di irripetibile bravura perduti nei teatri durante le guerra. La loro pace è nell’infinita malinconia del mito come dovrebbe essere.
Articolo modificato 15 Giu 2011 - 00:12