Su “La partita”, di Stefano Ferrio
edito da Feltrinelli – I narratori
Caro Lettore, devo essermi affezionato all’idea che questa rubrica possa raccontare attraverso il calcio tutto quello che calcio non è. Ma, mio malgrado e se da Te concesso, farei meglio a trascurare le categorie dell’essere e del divenire. A me presenti le loro infinite oscurità, preferirei restarci dentro, nella cloaca inodore dell’ordine astuto e indicibile delle cose. Per questo non aspettarti, mio esigente e curioso Lettore, che le parole che verranno trasfigurino la loro umana debolezza in una metafora che risolva in un istante gli enigmi del nostro tempo.
Già basta che la mia nomenclatura si spenga sotto la fioca brace di un formato emotivo e cerebrale non più idoneo a starci comodo in questa era di scarto, fatta con gli avanzi dei secoli mal funzionanti trascorsi nelle meccaniche ben funzionanti del potere. Succede di chiudersi in se stessi, quando per dare una stoccata alle idee devi dattilografare di rimessa, perché altrimenti sarebbe come esporsi sopra un campo deserto, senza linee e senza porte.
Il pallone ha il potere di rimbalzare, e come tutti i poteri sa sorprenderci con mirabolanti acrobazie. È il pendolo della psicologia delle masse, quella sfera sottratta agli dèi durante una notte nella quale essi dovettero di certo addormentarsi, stanchi di giocarsela quella forma di pianeta da sostituire con una prodigiosa alternativa. Alla Storia non importa come l’Italia abbia attraversato i secoli meccanici per ridursi così. È l’Italia raccontata ne La partita, di Stefano Ferrio. Sarebbe più opportuno dire che è l’Italia, per mano dell’autore, a raccontare una partita rimasta in sospeso come le sfide e le rivalse degli eroi. Ma il clima immaturo e casereccio col quale Stefano Ferrio addolcisce i mali sottili di una generazione madre di generazioni, sa più di disfida medievale a tavolino. Quell’Italia che ha dato vita a questa Italia, indifesa e corrotta, isterica e furbesca, puttanesca e malinconica.
Solo un gruppo di ragazzini cresciuti, alcuni bene altri male, alcuni in pena di vivere altri relegati a un’esistenza senza alternative, sospendono il tempo appuntandolo a un evento che sa di gloria e intimità. La partita, romanzo sulla maturità e la giovinezza viste dagli occhi di uomini che hanno sperimentato le illusioni e le delusioni del dopoguerra, le spinte esplosive della seconda metà del “Secolo breve”, riunendosi intorno a una partita, alla Partita, come intorno al fuoco di un falò dell’ultima estate.
Stefano Ferrio, giornalista e scrittore, racconta l’impresa di un gruppo di giovani che negli anni ‘Settanta si faceva chiamare Inghilterra, e che trent’anni dopo conserva il nome glorioso per riprendere una partita, lasciata in sospeso dopo lo smarrimento del pallone, contro una squadra sempre vincente di ragazzi promessi alla vita senza grossi sforzi.
L’Inghilterra improvvisata da una squadra sgangherata della provincia veneta, composta da ragazzi idealisti e abituati alla sconfitta, affronta, alla fine degli anni ‘Settanta, la migliore squadra della zona, composta da fighetti abituati alla vittoria. La partita sarà sospesa, e ripresa dopo trent’anni. I decenni trascorsi come la Storia italiana recente, restituirà, anni dopo, al prosieguo della sfida, una generazione che soltanto nella grazia e nella gioia di una partita di calcio, saprà ritrovare nuova e impareggiabile giovinezza.
È il pallone, è quella sfera eterna e ribelle, che rimbalza nei campi e nel tempo, adesso assomigliando ai capricci e alle smanie del potere, ora a sedersi accanto a un gruppo di giovani amici al tavolino di un bar, per mettersi ad ascoltare le loro storie e portarsele con sé, nell’abbraccio della rete dopo il goal.
sebastiano di paolo, alias elio goka
Articolo modificato 6 Lug 2011 - 10:14