Verona, quella poco shakespeareiana, non è nuova, pare, a certe cattive abitudini, ammesso che le abitudini siano cattive, soprattutto per i paradigmi del calcio folcloristico. Un tempo si diceva così. E si diceva pure di non esagerare, di non perseguire nella scrittura di parte, di non utilizzarsi per dire quello che piace e basta, per non cadere nella trappola faziosa della vita. Ma la vita è una parabola faziosa, e il pensiero è un indirizzo di parte. Sconvolgiamola pure la comune morale intellettuale, largamente in uso tra le dialettiche precostituite della politica e di ogni sistema legato in qualche modo alla convivenza delle passioni e degli interessi.
Se non fosse che in tanti anni di passione e coinvolgimento emotivo, spinti pure da un intimo senso di appartenenza – mio dio quanto raro e poco confessato – non m’avessero insegnato qualcosa gli stadi e i luoghi di culto del futbol d’ogni altrove, oggi sarei anch’io pervaso da una morale unica. Meglio scoprirsi qualche volta, come un vecchio monumento di periferia che nessuno conosce, ricoperto dalla polvere e dai passaggi disinvolti dei piccioni, dallo smog e dalla cenere dell’urbe affumicata. Il volto della statua è scarnificato, quasi appiattito dall’usura e dai nuovi poteri temporali. Perdonate gli svolazzi pindarici di qua e di là, ma pure i santi c’entrano qualcosa.
Inter – Napoli. Duemilaundici dopo Cristo. L’anno, nella fattispecie, conta e come. Le voci, non solitarie, ormai promosse a cori “trascurati” dalla morale lassù, appena citata, cantano i versi di un antico e consolidato poemetto satirico, musicato da un pentagramma che accoglie pure, e soprattutto, le note stonate di una divisione nazionale successiva a un’unificazione mai compiuta. “San Gennaro sieropositivo. Senti Napoli come puzza. Colerosi, zingari e camorristi. Vesuvio pensaci tu. Benvenuti in Italia. Ci vuole il passaporto. Ci vuole acqua e sapone.” Non la cantano gli ultrà azzurri giunti in terra di frontiera, per dire scusate di essere parecchio sballati e con molti, troppi difetti. Non è l’autodafè di una delegazione piombata nella capitale del nord della nazione, per porgere le scuse con tanto di canzoniere. Non è nemmeno autoironia, sebbene quella si sia consumata ormai da un pezzo e su scala nazionale.
Sono gli interisti, ricordo il loro gemellaggio coi veronesi – chissà se dura ancora – che, anche in questa occasione omaggiano la tradizione nazionalpopolare del federalismo antropologico. Adesso, non per buttarmi nella predica scontata, ma lo so bene che dalle mie parti ne abbiamo di colpe e la “responsabilità colposa” è diventata un asso nella manica del codice genetico. È però anche vero che la morale comune, che lassù soccorre e quaggiù perde sempre più di efficacia, dovrebbe, di tanto in tanto, giungere puntuale a tendere l’orecchio. Così, almeno per imparare che da decenni la musica è sempre la stessa e somiglia molto da vicino al coro ospitale dei veronesi che si comportano da tifosi in trasferta a casa propria.
Non esistono tifoserie frequentate solo da santi e poeti, ma l’autorizzazione a questi coristi della domenica nei decenni ha assunto validità e astrattezza, come una legge approvata in un parlamento sotterraneo. E la morale comune di cui sopra? Dove la mettiamo? E la sanzione? È casuale perché per la prima volta nella Storia ci troviamo di fronte alla casualità del diritto? Cos’è un’applicazione a mo’ di lotteria? Eppure è strano, perché i numeri sono quasi sempre gli stessi.
Ne hanno combinate di cotte e di crude le tifoserie italiane, tutte nella maniera peggiore, ma l’arrivo col fiatone del giudice sul luogo del delitto ha sempre emesso sentenze dispari laddove la giustizia dovrebbe essere pari. Ma questo è il calcio, mica la roulette, e mi par giusto. Allora i santi che c’entrano? Da poco cattolico poco me ne intendo. Magari un giorno lo rivelerà un ematologo vestito da cardinale.
Una volta, tanti anni fa, il Vicenza fu multato di quattrocentomila lire perché il pubblico vicentino aveva esagerato coi fischi nei confronti di Chinaglia e della Lazio. Come scrisse il poeta Alfonso Gatto, “Tutto da noi è possibile, pur di giungere agli applausi”. Al di là delle proporzioni e delle sanzioni mancate, sono curioso di vedere fin dove vuole arrivare questo diritto sportivo così “al di sopra delle parti” da sembrare celestiale. Attenzione però, qualcuno, con troppa disinvoltura, inizia a chiamare in causa pure i santi.
sebastiano di paolo, alias elio goka
Articolo modificato 13 Ott 2011 - 00:05