Spendere una vita lontano dalle proprie radici porta ad un certo punto un’inevitabile nostalgia. Questo aspetto negativo si amplifica se il distacco è dovuto avvenire per cause di forza maggiore, e si cerca di trovare una soluzione per recuperare il tempo e gli affetti perduti. Antonio Floro Flores, attaccante dell’Udinese, è stato ad un centimetro dal ritorno nella sua Napoli. Ma tutto si è complicato quando quest’estate Mazzarri non ha avallato il suo acquisto ritenendolo forse non ideoneo al progetto. Così stasera lo scugnizzo incrocerà il club azzurro da avversario per l’ennesima volta, e sulle sue spalle si poggerà tutto il peso, o quasi, dell’offensiva friuliana complice l’assenza del candidato al Pallone d’Oro Totò Di Natale (chapeau!).
NAPOLI, SOLO ANDATA – C’era una volta un ragazzino del Rione Traiano così forte, ma così forte, che il Napoli decise di tesserarlo a 13 anni acquistandolo per la “modica” cifra di 10 milioni dal Posillipo. Faccia schiva e stoffa da campione, Antonio bruciò le tappe e arrivò addirittura ad esordire in Serie A a soli 17 anni affrontando un signor difensore chiamato Samuel. Sembrava l’inizio di un idillio infinito, e invece nelle stagioni successive vuoi i capricci di un ragazzo ancora acerbo, vuoi le incomprensioni con gli allenatori, vuoi i problemi della società, Floro Flores fu costretto ad andarsene, direzione Sampdoria. Tutto accadde nel 2004: in quello stesso anno il Napoli avrebbe conosciuto l’onta del fallimento, e Antonio ancora oggi si rammarica per essere capitato nel posto giusto al momento sbagliato.
ATTACCANTE EMIGRANTE – Dopo la piccola parentesi blucerchiata ci furono prima Perugia e poi Arezzo, lo spauracchio della Serie B per un paio di stagioni grazie proprio ai gol di Floro Flores (31 in 87 presenze). Ritrovata una certa serenità, nel 2007 arrivò la chiamata in Serie A da parte dell’Udinese e qui, fatta eccezione per un prestito al Genoa, Antonio ha raggiunto la maturità giusta per avere un rendimento all’altezza delle sue doti senza tralasciare l’essere professionale. Ma chi nasce scugnizzo muore scugnizzo, e in lui c’è e ci sarà sempre la speranza di poter indossare ancora una volta la maglia che più lo fa emozionare. Perchè al cuore non si comanda, soprattutto se è azzurro.
Giorgio Longobardi
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