Interviene alla Redazione de “Il Corriere dello Sport” il tecnico del Manchester City Roberto Mancini sulla sfida decisiva di Champions contro il Napoli di Mazzarri.
Mancini, ci racconti del suo messaggio al presidente del Coni, Gianni Petrucci.
«Stavo uscendo di casa, avevo la televisione accesa e mi sono messo ad ascoltare il suo discorso. Una presa di posizione impeccabile e importante, se tutti hanno capito il senso. Era arrivata l’ora di mettere un punto sulla questione calcio. Così gli ho scritto un sms di complimenti, venuto dal cuore, perché la serie A sta finendo male».
Il punto, intanto, lo ha messo il Tnas: lo scudetto del 2006 è suo, anzi, dell’Inter.
«Guardi, penso che tutti debbano seguire quello che ha detto Petrucci e io lo faccio subito. Per me la questione è chiusa, non alimento certo le polemiche dall’Inghilterra. Sono stati anni spiacevoli, passati soltanto in tribunale o negli studi degli avvocati. Non ci sono più altri valori o altri interessi. Le sfide sul campo sono finite in secondo piano».
Ma lei pensa di aver vinto due scudetti oppure tre?
«Non ci casco. Sul campo la mia Inter ha conquistato due campionati, il terzo ci è stato dato per malefatte altrui. Il caso è chiuso, bisognerebbe ripartire da zero».
Sono emerse telefonate imbarazzanti anche della società nerazzurra.
«Ripeto: applaudendo Petrucci, voglio dare l’esempio per primo. Basta con le risse. Bisogna tornare al calcio antico, di cui l’Inter e la Juventus erano grandi protagoniste. Altrimenti la caduta non si ferma mai».
In Inghilterra le hanno chiesto, in questi due anni, il significato del processo di Napoli o di calciopoli?
«No, non ci calcolano proprio. Ma vi siete mai chiesti perché i grandi campioni non vengono più in Italia o perché gli sceicchi preferiscono investire sulla Premier o sulla Liga? Ve lo dico io: la serie A non ha più appeal, è antica, le società non hanno stadi di proprietà e per entrarci bisogna attenersi a mille disposizioni, comprare il biglietto non è più sufficiente».
E quindi che cosa ci può consigliare dopo la sua esperienza in Premier?
«Di tornare ai tempi di Sandro Ciotti ed Enrico Ameri, quando il calcio non lo giocavano i legali ma i calciatori. Sana rivalità e sane polemiche, tutte legate al campo. Come qui in Inghilterra».
Lei ha trovato un paradiso, praticamente.
«Ho trovato un Paese che ama il calcio. Qui i nomi degli arbitri neanche li conosciamo, non escono nemmeno sui giornali. La critica c’è, come c’era da noi all’epoca di Ciotti: ma riguarda gli errori dei giocatori e degli allenatori. La moviola non esiste e il calcio non finisce mai sotto inchiesta».
I tabloid inglesi, però, sono invadenti.
«Sì, c’è una cultura diversa, qui vanno a caccia del gossip ma basta comportarsi bene per non ritrovarsi in prima pagina. Io contesto quello che negli ultimi dieci anni è successo in Italia».
Tanto che Ancelotti aspetta una panchina della Premier piuttosto che ripartire da qua.
«Ora capisco perché. In Inghilterra si lavora bene, niente è legato al risultato, un club si pone un obiettivo e non caccia l’allenatore se dopo dieci partite la squadra non decolla. C’è un’altra cultura. Qualcuno ha anche confermato il tecnico con cui è retrocesso».
In Italia, invece, accade che una Curva riesca ancora a cacciare l’allenatore: è successo con Mihajlovic a Firenze.
«Peccato, Sinisa è un grande tecnico, non ha avuto fortuna con i viola, ma in Italia si verificano ancora queste situazioni. Se ha l’occasione, vada anche Mihajlovic ad allenare all’estero».
E a proposito di esoneri, Oriali ha appena detto: dall’Inter mi ha cacciato Branca non certo Moratti.
«Sono lontano dall’Inter oramai da molti anni. Posso dire che è stata una grande perdita: Lele è un dirigente onesto e di una competenza straordinaria. Una perdita importante».
Lei, invece, da chi è stato cacciato?
«Dal presidente Moratti: era un suo diritto cambiare».
Un’altra bandiera sta per essere ammainata: la Juve ha scaricato Del Piero.
«Mi dispiace, ma ci può stare. Alex ha 37 anni, può divertirsi ancora, vada a cercarsi un campionato diverso, magari la Premier, ma ce ne sono tanti altri. La vita non finisce con la Juve».
Un altro grande giocatore potrebbe lasciare la sua città: Daniele De Rossi.
«E’ difficile strappare un calciatore romano e romanista alla Roma. Perché il romano è legato alle sue origini e al suo stile di vita: non sarei sorpreso se rinnovasse il contratto».
Nesta, però, è riuscito ad andarsene.
«Sì, tra mille sofferenze, poi si è abituato e ora è quasi un milanese. Ma Alessandro ha un carattere più chiuso rispetto a De Rossi, più riservato».
Vuol dire che lei si arrende?
«No, voglio dire che se un giorno De Rossi si metterà sul mercato, il Manchester City ci proverà, come il Real, il Chelsea e tutti i grandi club».
Per lei è un top player?
«Sì, è uno di quei pochi giocatori che possono essere inseriti nelle più grandi squadre del mondo. Un centrocampista completo, con classe ed esperienza».
De Rossi come Mancini?
«Può darsi. Io ho rinunciato a molti più soldi e a tanti successi per sposare la Sampdoria. Mi sentivo amato, mi sentivo realizzato a Genova e dissi di no a tanti club con cui avrei vinto scudetti su scudetti. Daniele potrebbe fare il mio stesso percorso. D’altronde, se danno il tempo giusto a Luis Enrique può far bene con la Roma».
Tevez, invece, si è fatto fuori da solo.
«Bisogna sempre comportarsi in modo leale, soprattutto se si è il capitano del Manchester City, un club prestigioso. Tutti possono commettere un errore e nessun errore diventa irreparabile. Sarebbe stato sufficiente chiedere scusa per chiudere il caso. Così non ha voluto».
Ferguson le ha fatto i complimenti per il suo pugno duro.
«Ho fatto il mio dovere su un episodio spiacevole. Molto più bello ricevere i complimenti di Ferguson per il cappotto allo United. Che emozioni quella domenica».
Milan, Juventus e Inter potrebbero cercare proprio Tevez.
«Ora deciderà la società, io mi preoccupo della squadra e delle cose di campo. Tevez resta un grandissimo attaccante».
Parliamo di Klose, un fenomeno di bravura e serietà.
«Sa cosa penso? Che il suo caso è simile al mio quando arrivai alla Lazio».
Si spieghi meglio.
«Sbarcai a Roma a 33 anni, mi davano tutti per finito, comunque in fase calante. Vinsi e vincemmo tutto o quasi. Klose è uguale: pensavano tutti fosse in fase di decandenza – io compreso, per la verità – e invece ha portato gol e mentalità. Può cambiare da solo la squadra biancoceleste permettendole di puntare in alto».
Allora ha ragione Lotito: si può vincere senza spendere.
«Andiamo avanti, non è importante».
Lei ha l’impressione di essere più apprezzato per i suoi due anni inglesi piuttosto che per i suoi venticinque in Italia?
«Non lo so, ma credo che faccia piacere a tutti che un altro italiano si imponga all’estero. Visto Ancelotti? Ha vinto e fatto benissimo. Io ci sto provando, come Balotelli. E agli Europei ci andranno anche Capello e Trapattoni, uno a cui davano del bollito. Ma quale bollito, è un fenomeno».
Già, Balotelli: è cambiato davvero?
«Quando c’è di mezzo lui non bisogna mai sbilanciarsi o essere certi di qualche cosa, ma penso di sì. Si sta comportando da uomo e giocatore vero, anche in Nazionale. Se decolla, varrà un Messi o un Ronaldo».
A proposito: Lionel o Cristiano?
«Impossibile scegliere, uno farà 45 gol, l’altro 47. Datemeli».
Mourinho o Guardiola?
«Uguale: se fossi il padrone di un club penserei a uno dei due».
Real o Barcellona?
«Decideranno gli scontri diretti. La legge dei grandi numeri dice che prima o poi vincerà di nuovo il Real».
Cassano ha rischiato grosso.
«Abbiamo tirato tutti un respiro di sollievo. Pensi a guarire come uomo, poi tornerà calciatore e lo aspetteremo in campo, come sempre. Sapete che io lo stimo».
Parliamo del Napoli: martedì il confronto diretto.
«Una grande squadra, ormai ai vertici da qualche anno. Ogni stagione fa un passo avanti ed è pieno zeppo di campioni. Che bei giocatori ha scoperto De Laurentiis».
Lei ne ha cercati almeno tre: Hamsik, Cavani e Lavezzi.
«E chi non li vorrebbe? Ma sarà difficili portarli via da là, soprattutto se in ballo ci sarà lo scudetto. Il Napoli, come la Lazio, è in pole. La serie A è talmente equilibrata che può accadere di tutto».
Ne scelga uno solo.
«Sceglietelo voi, datemelo e io lo prendo»
Napoli e Manchester City per un posto negli ottavi.
«Dentro o fuori e chi esce non deve piangere. Parliamo di due club in ascesa, che stanno cercando di arrivare ai livelli di Real e Barcellona, il top del momento».
Zeman, intanto, è tornato a dare spettacolo.
«Che meraviglia, sono sorpreso che in A non ci sia un club che gli abbia affidato una squadra, soprattutto uno di quei club che deve arrangiarsi con i giovani e spendere poco».
Il boemo dice che paga le sue denunce.
«Sì, spesso chi apre delle battaglie paga il conto».
E’ più facile che lei faccia pace con Galliani oppure con Moggi?
«Il primo è un grande dirigente, il secondo mi è stato sempre simpatico. Il problema è che io non posso essere simpatico a tutti. Ma nessuna guerra, per carità».
Ibrahimovic, nella sua biografia, non è stato tenero con lei.
«Io voglio aiutare il calcio italiano a migliorare. Zlatan è un fuoriclasse con cui io ho vinto all’Inter. Lo ricordo come uno dei più grandi giocatori che ho allenato. Volevate del veleno come risposta? Mi dispiace ma non casco più nei trabocchetti. Rivoglio il calcio di Sandro Ciotti».
Fonte: Corriere dello Sport
Articolo modificato 18 Nov 2011 - 09:38