“Passione”. E’ il significato del tatuaggio inciso sul suo collo. Il primo, di una lunga serie di disegni e simboli, eternamente impressi sul corpo di Marek che raccontano la sua storia, la sua vita, i ricordi, le emozioni. Quel simbolo lo ha scelto quando ha capito che questo sport sarebbe diventato il suo lavoro, per sancire eternamente il legame perpetuo con la sua più grande passione: il calcio. Una passione che marchia il suo collo, ma nasce dall’ anima ed irradia il suo talento, venuta alla luce insieme a lui e con la quale condivide la culla, per merito di nonno Ivan che adagia accanto al suo piccolo nipote, ancora in fasce, un paio di scarpette da calcio. Andò fino in Ungheria per comprarle, perché solo lì si potevano acquistare, all’epoca. Lo ha sempre visto il fuoco di quella passione negli occhi del suo bambino, papà Richard, ex calciatore, suo primo allenatore, ancor prima che fosse marchiata a vita sul suo corpo. Ci ha creduto a tal punto da indebitarsi e vendere la sua automobile per far si che quella passione non si spegnesse. Prima di chiunque altro ha fiutato il suo talento, ora sbattuto in faccia a tutti. Ieri sera quel fuoco ha acceso l’ultima notte azzurra del 2011, offrendo uno spettacolo pirotecnico a suon di gol e azioni esaltanti, capaci di dare filo da torcere ai più spettacolari fuochi di Capodanno. Il miglior finale possibile, ma mai immaginabile prima di ieri, con il quale salutare un’annata da raccontare ai posteri. Ultimamente Hamsik è stato spesso oggetto di critiche: “è avulso dal gioco”, “è poco partecipe alle azioni della squadra”, “si impegna poco perchè l’anno prossimo andrà via”. Ha zittito queste dicerie alla sua maniera: firmando il rinnovo del contratto e vomitando il suo talento in campo. Già contro la Roma, si era rivisto il “vero Hamsik”, ma ieri è salito in cattedra per chiudere con un punto esclamativo quest’annata e per incoronarsi “Re di Napoli” ancora per una notte. Com’è possibile un cambiamento così repentino nel rendimento di questo claciatore? Si chiedono coloro che “vedono” le partite , ma, probabilmente, non le “guardano”. Chi ha avuto modo di seguire qualche partita della sua Nazionale, la Slovacchia, ha ben chiaro che il ruolo che esalta maggiormente le sue caratteristiche è quello di centrocampista centrale di un centrocampo a 4. Ieri, a onor del vero, il Napoli era schierato con un 3-4-3 falsato, in quanto, lo slovacco era più indietro rispetto a Pandev e Cavani. Ed è questa collocazione in campo ad esaltare le sue caratteristiche, come si è ampiamente visto. La sua forza è rappresentata dagli inserimenti, ma, ancora di più, emerge dalla sua capacità di leggere repentinamente le azioni di gioco e l’evolversi delle stesse, consentendogli di scegliere, in pochi istanti, la giocata più efficiente ed efficace con la quale impostare il gioco, lanciare a rete i compagni e, se proprio è necessario, a buttarla dentro. Il suo altruismo sottoporta, infatti, è intriso nell’azione del 2-0, dalla quale è scaturito il suo gol, successivo a un tentativo di assist nell’area avversaria, rimpallato dalla difesa genoana. Un centrocampista “atipico” con numeri da attaccante, grazie ai suoi 46 gol realizzati con la maglia azzurra, solo in campionato. Ma anche un talento a disposizione della squadra. Voleva a tutti i costi che Pandev e Cavani segnassero. Ha fornito perfino un assist al bacio per suo cognato Gargano, ritornato al gol, dopo 4 anni di digiuno. La partita che Marek Hamsik ha disputato ieri, tuttavia, non si riduce solo agli assist e al gol, poiché ha illuminato il gioco degli azzurri con azioni rapide e poco macchinose. Ieri, di riflesso, tutta la squadra è apparsa galvanizzata, pochi tocchi e molta concretezza, molta sostanza e pochi fronzoli. Un estro, quello dello slovacco, che stenta a venire fuori quando è costretto a giocare spalle alla porta, proprio perchè, le sue qualità rimangono inespresse ed è proprio la motivazione per la quale, quando si trova al cospetto di difese schierate come roccaforti e non è supportato da movimenti senza palla dei compagni, preferisce non avventurarsi in giocate che possono esporre la squadra a pericolose ripartenze degli avversari e preferisce scaricare il pallone verso i difensori, da questo nasce il famoso “passaggio all’indietro” che spesso e volentieri ha fatto storcere il naso a qualcuno. Ancora di più risente del pronto accorgimento tattico adottato dagli avversari: un uomo fisso su di lui che ha lo scopo di tenerlo basso ed ostruire i suoi innesti. Ci ha provato, per alcuni sprazzi della partita, Marco Rossi, ieri sera, a stargli dietro, ma le praterie a disposizione degli azzurri, nonché, lo stato di grazia in cui imperversava lo stesso Hamsik, hanno vanificato ogni suo sforzo. Sebbene la caratteristica che fa dello slovacco un talento e non un “semplice” calciatore, è la capacità di avanzare palla al piede a testa alta, senza accompagnare il pallone con lo sguardo. Sembra facile da riprodurre un simile gesto atletico, ma, in realtà, è privilegio di pochi. Questo gli consente di non porre limiti alla sua intelligenza tattica, tramutandola in giocate mai prevedibili e banali. Dietro ogni suo movimento, con o senza palla, c’è sempre una motivazione. Sotto la guida di Mazzarri è migliorato moltissimo in fase difensiva e molto spesso appare come una sorta di “allenatore in campo”, indicando ai compagni le posizioni da tenere e dispensando indicazioni tattiche. E il valore tecnico e qualitativo di questo calciatore rimane invariato, partita dopo partita. Sarebbe bene non dimenticarlo mai, in nessun caso. Sarebbe assolutamente erroneo, però, esaltare i singoli ed esaltarsi per la prestazione collettiva più del dovuto, proprio perchè il Genoa di ieri sera è apparso poca cosa, una squadra scesa in campo già consapevole di essere l’agnello sacrificale del banchetto natalizio napoletano. Anche se è una chiusura d’anno che lancia segnali positivi sui quali lavorare dopo la sosta e che lascia meno amaro in bocca per l’attuale posizione in campionato degli azzurri. Una vittoria dalla quale trarre un prezioso insegnamento, utile per tracciare il cammino da intraprendere accanto alla squadra: non esaltare i calciatori quando la squadra vince e non massacrarli quando stentano. Soprattutto se si tratta di giocatori per i quali il resto dell’Europa calcistica (e non solo) ci invidia.
Luciana Esposito.