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Sul film “Ultrà”, di Ricky Tognazzi

Quando il sentimento calcistico arde assumendo le furibonde sembianze del rifugio civile, allora, dentro quelle fiamme alte e veloci, viene allevata la fiera che in preda alla follia fa coppia con le ceneri che al buio seppelliscono quei rari momenti in cui la coscienza, chiusa in un angolo buio e senza via d’uscita, si perde dentro la sua solitudine.

È la vita di quella frangia sociale che niente nega alla violenza, se non il suo uso ingiustificato. I secoli hanno assistito alla lunga diatriba se sia essa, la violenza, strumento disponibile all’uso umano. Non qui, e altrove pure sarebbe arduo, ci accingiamo a ipotizzare l’assoluzione o la condanna. Ma il film che Assist sta per raccontare, parte prima di tutto dalla violazione come elemento chimico, come ragione di vita, come cifra presente nel codice genetico.

La vita ultrà, nella sua discutibile dimensione, rivela la sua grande contraddizione soprattutto nel suo significato primario. La lotta, talvolta anche attraverso mezzi infami, per l’affermazione del grido di una battaglia che non contempla territori da occupare, o terre da conquistare. In quella che volgarmente viene definita una forma di mentalità non vi è altro che un modus vivendi assolutamente incomprensibile agli occhi di chi non abbraccia questa “fede” e, invece, di chi a essa aderisce incondizionatamente, anche col rischio di diventare un emarginato, dalla legge e dalla vita, al cospetto di una morale civile che non assolve codici fini a se stessi.

Un gruppo di ragazzi di una borgata romana, che compongono il gruppo più violento delle frange estreme della tifoseria giallorosa, la Brigata Veleno, partono per la tanto attesa trasferta di Torino all’indomani della sfida di campionato tra Juventus e Roma. Il loro capo, “Principe”, interpretato da Claudio Amendola, ha da pochi giorni scontato una condanna per rapina, e, una volta fuori dal carcere, si unisce alla Brigata per guidarli alla “missione” in Piemonte, viste le intenzioni bellicose del suo gruppo, da tempo scisso dal Commando Ultrà, la tifoseria più organizzata e più prossima ai “favori” della società sportiva.
Red (Ricky Memphis), migliore amico di Principe e tra i più carismatici e riflessivi della Veleno, ha una relazione con Cinzia, la donna del suo migliore amico, ma sia lui che la ragazza non hanno il coraggio di raccontare la verità a Principe, che intanto recluta sul treno chiunque disposto a rischiare la galera e la vita per scontrarsi contro i Drughi, gli ultras della Juventus.
Il viaggio in treno, da Roma a Torino, tra ricordi, alcol e droga, rivelerà i contrasti maturati nel tempo, le divergenze sulla gestione del gruppo, i sentimenti e le debolezze di Teschio, Ciàfretta, Smilzo, Morfino, Nerone e tutti gli altri ultras giallorossi.
Una volta giunti a Torino, il gruppo “anarchico” troverà quanto sperato durante il viaggio, ma le insidie di chi percorre strade violente, non risparmieranno la Brigata Veleno da un’atroce resa dei conti, prima di tutto con la vita.

La regia di Ricky Tognazzi, e una toccante ed efficace colonna sonora di Antonello Venditti, inquadrano una figura dell’ultrà romantica e maledetta, alle prese con le difficoltà del lavoro e della famiglia durante la settimana e tra le mani il codice ultras e il rasoio delle cattive intenzioni alla domenica. Il tifoso teppista raccontato da Tognazzi junior, si isola dalla realtà che nella storia narrata dal film diventa sfondo lontanissimo della vita di un manipolo di ragazzi che hanno davanti agli occhi soltanto la fede calcistica, con la quale hanno istaurato un morboso rapporto, ossessionati da striscioni, cartoline, sciarpe e bandiere. Gli accessori della passione calcistica si trasformano in bottino di guerra, i fumogeni e i lacrimogeni sono la nebbia nera in cui muoversi come guerrieri pronti alla rissa. I personaggi, che sembrano usciti da una rivisitazione metropolitana della borgata pasoliniana, sono tormentati dai fantasmi del disonore, mascherati da un irritante ma indispensabile e personalissimo eroismo, unica ragione di fondo a tenere in vita la loro dignità.

Le forze dell’ordine sono un ostacolo nella battaglia, come massi e fossi nella mischia, ornamento nero di uno scenario urbano che, suo malgrado, ospita queste anime derelitte in pena della loro effimera ebbrezza di esistenza vissuta a mille. I passanti e le ragazze sono soltanto bersaglio di desideri e brame di rivincita verso un mondo che li vuole per sempre sconfitti, mentre i rari momenti di umanità emergono docili e provanti tra gli imbarazzi di chi non è pronto e abituato a sentirsi amato, perché la sua unica preoccupazione è quella di essere temuto.

Gli ultrà di Ricky Tognazzi sono nati per inventarsi un’inutile guerra in tempo di pace. Raccolgono, come topi inferociti, qualsiasi oggetto utile a danneggiare il loro nemico, qualsiasi cosa possa affermarli in quel quadro sociale dove occupano soltanto un ruolo di rigettato ripiego. Presenti perché previsti dalla generazione del caos, ma per nulla integrabili in quel mondo civile in cui la loro guerra è destinata al deprimente destino di grottesca e tragica contraddizione sociale, e come tale, strada senza via d’uscita, perché incapace di formarli e di farli maturare, sia pur nell’inesorabile tragitto che fa scivolare verso un disonorevole destino gli uomini perduti nell’erranza della violenza più deliberata.

Ultrà, produzione italiana del 1991, ha vinto l’Orso d’argento al Festival di Berlino come migliore regia, due David di Donatello, miglior regia e miglior fonico di presa diretta, e due European Film Awards, miglior attore non protagonista (Ricky Memphis) e miglior montaggio.

sebastiano di paolo, alias elio goka

Articolo modificato 16 Gen 2012 - 19:12

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Scritto da
redazione