Il modo migliore per mettere a tacere le polemiche, le dicerie e le accuse infamanti sul suo conto è afferrarle tra i suoi guantoni, come il più velenoso ed insidioso dei palloni, calciato dal demonio e partorito dal bruto gesto non atletico, ma d’ infamia di un suo degno rappresentante terreno e non nasce dai piedi, ma dall’ ingiuriosa astuzia che contraddistingue in negativo l’essere umano, capace di rallegrare le bestie per non appartenere alla “specie più evoluta”.
Fare quello che ha sempre fatto come lo ha sempre fatto.
Questo è l’espediente migliore che Morgan De Sanctis può utilizzare in difesa di Morgan De Sanctis. Quella sua professionalità, conosciuta bene da chi segue il Napoli, per passione e non per mestiere, è composta da tanti, piccoli, ma incisivi gesti, sguardi, urla, imprecazioni, sussulti, ruggiti da leone piuttosto che rimproveri paternali per i compagni di reparto.
E’ insita nel rigore più che generoso concesso al Bayern al San Paolo, neutralizzato prima da quella lucida freddezza, che accompagna e caratterizza ogni suo gesto tra i pali, che dai suoi guantoni. Qualsiasi altro portiere, in quel frangente, si sarebbe lasciato andare ad un’esultanza incontenibile ed avrebbe respirato a pieni polmoni la meritata ovazione del pubblico del San Paolo.
Ma Morgan no.
Lui indirizza il suo primo pensiero al guardalinee, rivolgendogli un rispettoso monito, come a volergli dire: “la tua disattenzione poteva penalizzarci, ci ho pensato io a togliere le castagne dal fuoco, ma ora sta più attento!”
Quello appena citato è solo uno dei tanti episodi che caratterizza la sua vita tra i pali.
I suoi gesti sono per molti insignificanti, per altri aprono uno spiraglio sul dubbio del complotto e, pertanto, devono essere oggetto di valutazioni ed indagini approfondite e minuziose, perchè potrebbero celare qualcosa che va oltre le apparenze.
In realtà è proprio così.
Morgan De Sanctis non è “solo” un portiere.
E’ un simbolo verace, eloquente della fame di vittoria di cui è ingorda la corazzata azzurra.
E’ uno al quale non va giù che gli si faccia gol, mai, in nessun caso, neanche in allenamento.
E’ un portiere che attacca l’avversario, sfidandolo al limite dell’aria, uscendo allo sbaraglio per tamponare un’eventuale disattenzione dell’avversario, lo ipnotizza, lo affronta a viso aperto e a muso duro, come ha potuto appurare a sue spese Mario Balotelli che, in occasione di Napoli – Manchester City, a tu per tu con l’impeto dei riflessi di Morgan, non ha potuto fare altro che imprecare e deporre le armi, insieme a qualsiasi velleità, al cospetto della sua disarmante bravura e, ancora di più, di quell’ implacabile ed infrenabile desiderio di proteggere quei pali, i suoi pali, ad ogni costo.
L’essenza della sua professionalità è racchiusa in quella corsa ricca di attaccamento alla maglia maturata sul campo di Monaco, quando, nei minuti di recupero, portandosi nell’aria avversaria, per tentare il tutto per tutto, nell’ultimo assalto azzurro, ha esposto la squadra a un velenoso contropiede che rischiava di terminare violando quella porta che ama difendere (come già detto, ma è sempre bello e giusto ribadirlo) con tutto sé stesso e infatti, così sarebbe stato, se non ci fosse stata quell’ultimo, generoso, disperato gesto con conseguente salvataggio in estremis sulla linea di porta.
Questa fu l’ultima azione di quella partita di Champions League.
Questa è la fotografia più emozionante di Morgan, da tramandare ai posteri e da regalare a chi cerca di infangarne la credibilità, sminuirne la grandezza ed offuscarne l’abbagliante talento.
E’ giusto sottolineare soprattutto che Morgan è uno che le sue responsabilità se le assume sempre.
La sua grandezza d’animo, il suo orgoglio così partenopeo, seppure “figlio adottivo” di questa terra, si estrinseca in un episodio emblematico in tal senso.
Napoli-Fiorentina: gli azzurri erano reduci dall’amara sconfitta di Verona contro il Chievo, Mazzarri schiera nuovamente Ignacio Fideleff, uno dei protagonisti in negativo di quella gara. Proprio contro i viola, a ridosso di una curva B affamata di vittoria, lo stesso Fideleff si rende autore di un retropassaggio al quanto infimo che sarebbe potuto costare non poco all’intera squadra. Se solo prontamente De Sanctis non ci avesse messo “la solita pezza”. Il pubblico inizia a rumoreggiare: piove qualche fischio misto ad insulti. E in quella circostanza Morgan sale in cattedra. Non rimane a guardare quello scempio, lui che difende la porta, ma anche la difesa, sempre e comunque. Tira su la mano destra, fa cenno di no e poi si indica come a voler dire: “è stata colpa mia, ho sbagliato io…prendetevela con me!”
E in effetti lui non aveva chiamato la palla, seppure fosse lì, pronto ad uncinarla.
Davanti a quel gesto, generoso, fiero, da vero leader, i fischi si trasformarono in applausi sentiti, assordanti e scroscianti.
Un semplice “mea-culpa” festeggiato come un gol.
Questo è Morgan De Sanctis.
Al cospetto di quella maestosa grandezza che Morgan sa assumere quando è tra i pali, perfino Prandelli ha dovuto capitolare e non ha potuto negargli la convocazione in Nazionale, nonostante la sua non proprio rosea età.
Non scrivere il nome di De Sanctis nell’elenco dei migliori portieri italiani sarebbe come andare contro le più elementari leggi della fisica, rinnegare l’amore per la propria patria, sconsacrare il più sacro degli altari.
Ma, azione ancora più maldestra appare il tentativo di screditarne l’indubbio ed inconfutabile valore umano unitamente alla comprovata credibilità professionale.
In quegli occhi carichi di grinta, tensione agonistica, concentrazione, è racchiusa la sua professionalità.
Ancora trapela nelle urla, cariche di grinta e rabbia, che indirizza a Cannavaro e company, al cospetto del solito, grossolano errore, piuttosto che in seguito allo svarione difensivo che può tramutarsi in gol, a volte si, a volte no.
E quando non accade è perchè c’è lui, sempre pronto a rimediare.
E’ lui che, più di ogni altro, vive con chi è sugli spalti, le sorti del match in corso e ne incarna gli stati d’animo.
Il pubblico si libera della tensione lasciandosi andare in calorose esultanze, ma lui no.
Morgan non si sente mai completamente liberato da quel pathos emotivo, dalla tensione agonistica che porta tatuata sul volto, come una maschera assai loquace, finché non è il direttore di gara a decretare la fine della partita.
Per certi versi, su di lui grava l’atto liberatorio dei tifosi, perchè è lui che sente e vive, come pochi altri, quel desiderio di vittoria e sa che non può deludere quelle aspettative, non lui.
Perchè lui non ha scelto di giocare nel Napoli, lui vive Napoli e ha scelto di diventare “uno di noi”.
Tante e tante volte ha dimostrato di essere più napoletano di chi lo è sulla carta d’identità, ma che consapevolmente sceglie di abbracciare il credo calcistico dei “signori del Nord”.
Morgan è un uomo che difende questa terra, non solo la porta azzurra.
In un momento storico in cui i capitani, quelli decantati come tali da alti gradi e medaglie, abbandonano le navi in procinto di affondare, il “nostro” Morgan assume un valore ancora più inestimabile, perchè a lui non occorre una fascia intorno al braccio, non è necessario che ufficialmente gli venga assegnato quello status.
Morgan è capitano nell’anima.
Quella fascia non irradia il suo braccio, ma avvolge ed inonda il suo cuore.
Lui non si è mai tirato indietro nei momenti difficili, neanche quando la nave azzurra navigava in mari tortuosi, non ha mai avuto paura di rimanere a bordo e lottare insieme all’intera flotta, in attesa di superare la bufera e ritornare a navigare a vele spiegate e verso nuovi, meravigliosi porti.
E, di contro, ora che è “Capitan Morgan” a trovarsi travolto nella tempesta dell’ ingiuria, sono i suoi fedeli e devoti marinai a condividerne le pene e a schierarsi, seppure simbolicamente, accanto a lui.
Chi non è in grado di comprenderne l’essenza, non può apprezzarne la grandezza.
Chi lo vive e si emoziona con e grazie a lui, non può che sentirsi onorato per il fatto che uno come lui abbia sposato Napoli e non deve fare altro che continuare ad applaudirlo, come sempre e sempre di più.
“Nella buona e nella cattiva sorte”.
Perchè quando questa terra sposa un nuovo figlio, quest’ultimo sarà avvolto dal suo caloroso e materno abbraccio per l’eternità, qualsiasi cosa succeda.
Luciana Esposito
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Articolo modificato 16 Gen 2012 - 12:32