Ancora no. Ennesima delusione nell’ultima gara del girone d’andata. Il Napoli smarrisce la bussola della vittoria e si allontana pericolosamente dai piani alti. Soliti errori, solito tempo di gioco regalato agli avversari, solite amnesie difensive che riportano la squadra prepotentemente coi piedi per terra. Sembra recitare un copione che si sta ripetendo troppo spesso ultimamente e questo non è comprensibile per una squadra che ha avuto nel gioco brioso e brillante il suo punto di forza. Perchè deconcentrarsi al punto di regalare un primo tempo come quello di Siena ieri, ma come potremmo citarne tanti in questo girone d’andata ? Perchè smarrire la determinazione a sfruttare tutti i novanta minuti di gioco per scardinare le difese avversarie, e non solo gli ultimi dieci minuti ? Mistero indecifrabile che Walter “Sherlock” Mazzarri è chiamato a giustificare con altri argomenti, non certo usando la “pressione eccessiva dell’ambiente” come alibi di una prestazione opaca e ingenerosa. La svogliatezza della squadra passa per alcuni nomi, capro espiatorio di un periodo negativo sotto l’aspetto psicologico: Maggio e Inler. Il primo è la brutta copia del giocatore visto lo scorso anno, fuori dal gioco, perduto in una manovra complicata e mai incisiva, si allontana dal fulcro del gioco annegando tra le gambe degli avversari, proponendo discese con presupposti già visti e rivisti. Ha certamente bisogno di rivedere le sue priorità, pena quella maglia della nazionale che tanto inorgoglisci il popolo napoletano. Inler ha probabilmente bisogno di un’altro anno per riconoscersi, è oramai palese. Non è il giocatore che serve al Napoli in questo momento e questo lo hanno capito in molti. Bisogna pazientare e aspettarlo perchè il giocatore vale, ma presentarsi ancora in queste condizioni, distratto e scoordinato in una manovra lenta e impacciata, sarebbe deletereo. Di certo non esente da colpe (anzi) ancora una volta la retroguardia, con Cannavaro che rispolvera i fantasmi di un passato fatto di lisci e svarioni, e con Campagnaro che vive un momento fisico non di certo impeccabile, da cui scaturiscono passaggi fuori misura e clamorosi errori d’appoggio. Resta Aronica, anche’essi in balia dei compagni di reparto che gli trasmettono insicurezza. Hamsik non è riuscito ad essere incisivo causa il mancato apporto a centrocampo dei sopracitati “soliti noti”, stesso dicasi per Gargano, fuori dal gioco e in affanno. Sufficiente invece l’apporto di Dossena, autore di un ottimo cross sul pari di Pandev, e caparbio quando si propone, questa volta senza strafare e con poche sbavature. Altra nota lieta è l’ingresso in campo di Lavezzi, che finalmente consente di dare alla squadra profondità e capace di procurarsi un rigore con la solita astuzia, che uno sprecone Cavani sbaglierà, facendlo parare da Pegolo. Altra gara anomala di Cavani, che ha ufficialmente abbracciato il ruolo del giocatore “a fasi alterne” in grado di prove “da pallone d’oro” e, nel contempo, a gare da “chi l’ha visto”. Ha però sempre il merito di fornire quella generosità che commuove e che è benzina per la grinta della squadra. Probabilmente migliore azzurro è quel Pandev che attualmente sarebbe difficile tenere fuori, vuoi perchè si è ritagliato un ruolo fondamentale sotto l’aspetto della concretezza, della finalizzazione, orizzonte oltre il quale il Matador e gli altri attaccanti azzurri non riescono a guardare, loro malgrado. Tocca palloni senza sprecarne, fa sponda con il compagno di turno, concretizza quando è necessario, fa un numero all’ultimo secondo che per un soffio non gli consente di essere l’eroe del momento. Peccato. A mister Mazzarri mettiamo la cosidetta pulce nell’orecchio; non era meglio restare più equilibrati e togliere un uomo d’attacco (magari Hamsik) invece che sostituire Gargano, abile nell’interdizione e più utile per arginare i contropiedi senesi, da dove è poi nato il gol di Calaio ? Non lo sapremo mai. Resta l’ennesimo pari in un palmo di mano, e nell’altro la consapevolezza di aver perso un’altra occasione, forse quella più importante, per riagganciarsi ad un serpentone che porta tra i primi della classe. Non vogliamo parlare di sogno svanito, oppure di speranze definitivamente da abbandonare, ma oggi come oggi ci riesce difficile credere in una rimonta con questi presupposti, e cioè quelli di una squadra che ha disseminato un patrimonio di energie in Europa, e che fa fatica a riconquistarne per guardare al campionato con la giusta convinzione. Siamo invece certi che la Coppa Italia possa essere uno di quegli obiettivi a breve termine dove le possibilità potrebbero essere più di ciò che si possano credere. Per cui bando alle ciance, sotto a chi tocca, non perdiamo l’occasione di sfruttare il turno al San Paolo per passare questo quarto di finale contro i nerazzurri dell’Inter, poichè potrebbe essere questa l’anticamera del primo trofeo azzurro della nuova era, punto fondamentale per cominciare a sviluppare quel culto dell‘essere vincenti, quell’abitudine che tarda ad arrivare e che nel ventennio passato sembrava appartenerci per natura.