Svestiti i panni della squadra sorpresa, quella di pochi mesi e poi giù, sotto dove solitamente giace, ecco finalmente vestirsi a festa, la squadra di Mazzarri, ritornando ad essere il diamante prezioso che brilla di luce propria. La partita di stasera ha il sapore della vera finale di Coppa Italia, quasi come fosse un gioco a ritroso, uno strano scherzo del tabellone, un modo come un altro per dimostrare che questo trofeo si può vincere. Gagliardo e tonico, il primo tempo azzurro però resta sotto la falsa riga di un possesso palla che non incide, fatto di manovre garibaldine, contro cui si sovrappongono sprazi di gioco ordinato a piccoli eccessi di sicurezza, con qualche brivido percorso lungo la schiena quando a De Sanctis gli si affidava l’arduo compito di spazzare via la palla. Al cospetto dei partenopei, una Inter scialba e insipita, priva della giusta concentrazione, distratta a specchiarsi nelle sette vittorie di fila, dimenticando che al San Paolo scorre sangue e sudore, in un’arena colma di passione e voglia di vincere, come cita uno striscione nei distinti. La ripresa mette all’opera il prototipo della squadra spietata, già al ‘5 con Cavani, bravo e caparbio a procurarsi il rigore che lui stesso trasformerà, per scacciare i fantasmi dell’errore di Siena, costato caro in termini di delusione. Passa e merita, il Napoli, sotto cui i ragazzi azzurri temprano una manovra astuta e battagliera, concreta e costante, rallentata solamente nella seconda parte della ripresa, dove i nerazzurri hanno pur sempre dalla loro la necessità di doverci provare, prima con uno Snejder scaltro ma nevrotico, c0n un Milito stanco e fragile, contro cui Cannavaro ci fa un figurone. La partita si porta in là, e col tempo gli azzurri contemplano la vittoria, mostrando i fianchi all’Inter e a Ranieri, che butta nella mischio il fior fiore della panchina (Zarate e Alvarez ndr) per cercar festa quando il disco volge all’ultima traccia. Ed è proprio allora che il Valzer del Matador suona ancora una volta nelle orecchie di Ranocchia e Samuel, “seduti” e non sugli allori, da Edinson, abile come una faina, con quel pizzico di fortuna che non basta, oplà anche su Castellazzi, palla nel sacco e semifinale in tasca. Mostra il vestito buono il Napoli, con la cattiveria ed il piglio che solitamente usano fare le grandi e come probabilmente proprio l’Inter ha fatto ultimamente, vincendo anche partite giocate male, con il minimo indispensabile. Gara da incorniciare, su tutti anche Gargano, arcigno sparviero azzurro, capace come al solito di trascinare e deprimere, rubare palloni e farseli rubare, ma è necessario come l’acqua nel deserto. Ottimo anche Zuniga, capace di mettere in guardia la retroguardia sinistra interista, tenendo a bada dalle sue parti Maicon, distratto e allontanato dalle sue discese al veleno. De Sanctis e Aronica assegnati al ruolo di guardiani della porta, sempre attenti e privi di eccessi pericolosi, quelli che Campagnaro solitamente si concede, ma non stasera, per fortuna, in virtù di una prova gagliarda e ben amministrata. Il pocho entra bene in partita, soffre la scarsa condizione, ma va bene così, in vista del rilancio in campionato può andar bene, ma occhio a non dimenticare Pandev, anche stasera, seppur subentrante all’argentino, lucido e duttile ad una manovra che sembra respirare meglio quando il macedone è in campo. Non vuole essere una campagna denigratoria per gli altri componenti dell’attacco azzurro, ma si ha l’impressione che in questo momento il Napoli sia imprescindibile da Pandev. Vederlo in panca sembra un delitto, ma ci è sembrato coerente vista la necessità di spingere Lavezzi ad abbracciare una condizione più consona ai suoi ritmi. Concludono l’analisi le prove di Maggio, finalmente presente sulla destra, dopo alcune gare da dimenticare, Hamsik, energico, elegante, ma poco pragmatico quando ce n’è bisogno, ed Inler, con una prova da sei ma con ampie richieste di miglioramenti, poichè da un uomo come lui la gente s’aspetta il salto di qualità, la presenza in campo da leader, la spinta che determina una gara, il morso del re leone in grado di abbattare la preda. Semifinale contro il Siena, in una gara che si preannuncia alla portata azzurra, senza però dimenticare che l’umiltà contro le piccole è stato il fattore primario mancante delle ultime stagioni, il limiti con il quale gli azzurri hanno accompagnato un’annata vincente, senza il quale, con ogni probabilità, avremmo qualcosa in più di un semplice posto tra le grandi. Svestiamo nuovamente i panni ed indossiamo tute ed indumenti da lavoro, c’è da affrontare la squadra operaia senese, con a capo il campano Sannino, in vena di scherzi. C’è bisogno della mentalità operaia per andare in paradiso …
Articolo modificato 26 Gen 2012 - 09:31