“Il calcio inizia a corrompersi quando cominciano a contare i punti”. Così Carlo Petrini rispose a una domanda durante un’intervista.
Carlo Petrini è un ex calciatore e uno scrittore italiano. Nella sua carriera di calciatore ha militato, tra la fine degli anni ‘Sessanta e l’inizio degli anni ‘Ottanta, nel Milan di Nereo Rocco, col quale ha conquistato una Coppa dei Campioni, nel Torino, vincendo una Coppa Italia, nella Ternana, nella Roma di Nils Liedholm, nel Verona, nel Cesena e nel Bologna. Conclusa la carriera di calciatore, si è dedicato alla gestione di una società finanziaria, finendo per indebitarsi in un giro di strozzo, costretto poi a fuggire in Francia per vivervi a lungo sotto anonimato. Dopo la scomparsa del figlio diciannovenne Diego, a causa di un tumore al cervello, Petrini ha deciso di tornare in Italia, trasferendosi dove attualmente vive, a Monticiano, il suo paese natio. Negli anni della maturità ha intrapreso la strada della scrittura, in particolar modo intorno alle sue esperienze di calciatore, e testimoniando sulle vicende più nere della storia del calcio italiano. Ha scritto sul doping e sul calcio scommesse, raccontando fatti, citando nomi, luoghi e date di un’aneddotica a lungo rimasta sepolta nelle memorie della cronaca. I suoi libri più celebri sono Nel fango del dio pallone, edito dalla Kaos Edizioni, e Il calciatore sucidato, dedicato alla triste e oscura vicenda di Donato Bergamini, calciatore morto suicida in circostanze misteriose. Nel 2006, Carlo Petrini aderisce all’Associazione vittime del doping, fondata da Claudia Beatrice, figlia di Bruno Beatrice, centrocampista della Fiorentina morto di leucemia, nel 1987, all’età di soli 39 anni. Il regista Gian Claudio Guiducci ha dedicato a Carlo Petrini il documentario Centravanti nato, una produzione di interviste e filmati d’epoca che ripercorre la storia professionale e la vita del calciatore toscano.
“Ho iniziato ad avere rapporti col doping all’età di diciannove anni. A quell’epoca non esistevano le siringhe gettabili. Esisteva una grossa siringa fatta bollire in una scatolina d’acciaio con l’ago vicino. Questa siringa, sempre con lo stesso ago, entrata in una bottiglina cinque volte, fece altrettanto in cinque sederi diversi senza essere cambiata.” Racconta Petrini proprio nel documentario di Guiducci. “Ci dissero di non riscaldarci troppo in fretta. Infatti entrammo in campo poco dopo. Avere il cervello in sintonia con le gambe, è aver fatto tredici per un calciatore. Poi mi ricordo questa bava verde, che mi spaventò un casino. Per toglierla dovevi quasi strapparla.”
Se pur fossero tutti ammessi e confessati, probabilmente, sarebbe molto difficile racchiudere in un’unica inchiesta tutti i casi di doping del calcio italiano. Sono celebri le inchieste giudiziarie che hanno visto coinvolti calciatori e società molto celebri del panorama calcistico, ma, è la percezione comune a molti osservatori, il Sistema ha sempre cercato di gettare nel dimenticatoio le vicende, anche quelle provate da contraddittori imbarazzanti, prove e testimonianze in sedi processuali, relativi all’uso di sostanze proibite. La cronaca ha sempre badato più ad alimentare le polemiche, che a fornire notizie approfondite. La magistratura, con le sue talvolta discutibili sentenze, ha individuato alcuni capri espiatori piuttosto che far luce in maniera totale sul buio della “integrazione artificiale” nella preparazione atletica dei calciatori professionisti. La testimonianza di Petrini, attraverso i suoi libri, le sue interviste e il suo impegno, hanno assunto, negli anni, il ragguardevole valore di uomo in qualche modo “pentito” di essersi a lungo allineato al calcio corrotto, e la silenziosa inchiesta di una persona emarginata dal sistema che, fino al consumarsi degli stessi scandali da lui denunciati, lo aveva protetto.
Carlo Petrini è stato un comprimario del sistema calcio, dapprima sottaciuto dalle cronache e dalle indagini, poi estromesso dal tono di credibilità che il mondo dei media riserva soltanto a chi nel sistema resta in vita come “ufficiale” vincitore. Il centravanti toscano, durante i suoi interventi, ha sempre tenuto a denunciare il possibile nesso tra le centinaia di scomparse premature, circa 500, di calciatori e l’uso di sostanze dopanti. Lo stesso Ministero della Salute ha confermato l’attendibilità di questo nesso, comunicando un aumento del 35% dell’affezione cancerogena degli atleti che fanno uso di sostanze dopanti. Lo stesso Carlo Petrini è stato operato di tumore alla testa, e soffre di un glaucoma che lo ha reso parzialmente cieco. Alcuni dei medici che lo hanno curato, gli hanno confermato l’attendibilità del nesso tra il suo stato di salute e i suoi trascorsi di calciatore dopato. “Faccio quello che sto facendo per chiedere la verità sulle morti di oltre cinquecento ragazzi.” Ha più volte affermato Petrini, citando molti dei nomi di ex calciatori scomparsi perché affetti da tumori e leucemie, denunciando pure che, secondo una recente indagine, un giovane su tre sarebbe disposto a sottoporsi a trattamenti dopanti per diventare un professionista. Petrini ha sempre cercato di sottolineare tanto l’aspetto politico quanto quello psicologico del mondo del doping, che mette a frutto l’istante dell’atleta, le sue imminenti necessità e il suo unico tempo considerevole agli occhi ei suoi preparatori, il presente di giovane pronto a dare il massimo a tutti i costi, piuttosto che riservargli una preservazione derivante da sani trattamenti sportivi. Il giovane atleta diventa dunque un cyborg, parzialmente cosciente, dipendente di una macchina che vuole calciatori di sovrumana predisposizione fisica.
Oltre alle complesse ipotesi che spontanee emergono su queste vicende, oltre all’umana compassione per l’uomo consumato in misura così atroce per essersi spinto oltre i confini consentiti dalla gloria, che pure molte diaboliche tentazioni riserva alle giovani debolezze, viene da imporsi il misurato senso della costernazione, pensando che la miseria faccia ingresso in modalità così silenziose e mistificatorie tra le fila di gioventù forse colpose, per carità. Ma non credo, alla luce di effetti così tremendi e personali, sia giusto abbandonarsi a facili giudizi. Penso sia più dignitoso e prudente accostarsi alla complessa faccenda, col solito errante e meditabondo pensiero, che da decenni inquieta il mondo del calcio come altri mondi. Che tutto, ahinoi tutto, è determinato dall’effimera mano danarosa dell’esistenza.
Nel 1995, attraverso i media, Diego Petrini, diciannovenne calciatore del settore giovanile della Sampdoria, lanciò un appello al padre Carlo, chiedendogli di tornare in Italia, perché da sei anni il giovanissimo promettente calciatore – anch’egli centravanti – non aveva notizie del genitore. Diego Petrini morirà in ospedale senza aver rivisto il padre.
Quando Carlo Petrini è tornato in Italia, ha dedicato al figlio una raccolta di poesie dal titolo Alla ricerca di Diego. Una battuta terribilmente sarcastica del commediografo Joe Orton dice, “Tutto ciò che un figlio può ragionevolmente aspettarsi da un padre è che sia presente al concepimento.” Al giovane Diego sarebbe bastato pure il contrario. Come, forse, pure al padre Carlo.
sebastiano di paolo, alias elio goka