“Quando ho fatto quei nomi, la gente è rimasta esterrefatta. Successivamente ho avuto attestazioni di stima da parte della gente, perché si era resa conto che il calcio non è quello raccontato dalla gazzetta dello sport o da altri giornali”. “Aldo Agroppi telefonò la mia ex moglie, dicendole che avevo ragione a dire quello che dicevo, ma che non avrei dovuto dirlo.”
“Parlai con Trapattoni, parlai con gli altri giocatori. Ma Bettega disse, adesso basta, ci penso io a farvi pareggiare. E infatti, su calcio d’angolo, Brio fece uno splendido autogol.”
È l’aneddoto che Carlo Petrini racconta della partita Bologna – Juventus, del 13 gennaio 1980. Petrini giocava nel Bologna.
Gli anni ‘Ottanta sono, per la Repubblica italiana, l’autopsia di un sistema da cambiare e la gestazione di uno nuovo da introdurre. Il terremoto in Irpinia, la strage di Bologna, gli scandali politici, la metamorfosi dei mass media. Fatti naturali e umani sembrano allearsi per cambiare la maschera di un paese. Il calcio non sarà sottratto alla rigenerazione del potere, stavolta attraverso un processo apparentemente etico, che si rivelerà soltanto una manovra per infondere nell’opinione pubblica la machiavellica convinzione che un sistema civile non può sopravvivere se non in godimento della giustificazione di qualsiasi mezzo a propria disposizione.
Così, il 1980 è l’anno della Guardia di Finanza che entra negli stadi per arrestare calciatori di serie A, rei di aver messo su un’organizzazione di scommesse clandestine, diretta a combinare i risultati delle partite oltre la lecita competizione sportiva. Massimo Cruciani, commerciante ortofrutticolo, e Alvaro Trinca, ristoratore, il 1 marzo del 1980 denunciano se stessi e una parte dei calciatori che avevano contribuito a falsare i risultati delle partite, rivelando così, uno degli scandali più celebri della storia dello sport italiano. Carlo Petrini, che, nel “volume” sul doping, Assist Vi ha in qualche modo presentato, è stato uno dei personaggi chiave per le rivelazioni su fatti invece taciuti nel periodo delle indagini. Un processo che avrebbe dovuto coinvolgere più soggetti, condannerà solo una parte dei responsabili. Tra questi, Paolo Rossi (squalificato per due anni), capocannoniere della nazionale che vincerà il Campionato del Mondo due anni dopo. Milan e Lazio saranno retrocesse in serie B, e altre società sportive, con atleti, dirigenti e allenatori, saranno citate e coinvolte nell’inchiesta giudiziaria.
Il 13 gennaio del 1980, nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo di Bologna – Juventus, terminato il primo con la Juventus in vantaggio di una rete, i calciatori del Bologna sapevano che una volta tornati in campo di lì a poco avrebbero pareggiato. Ma durante lo svolgersi della seconda frazione di gioco, i bolognesi avevano la sensazione che gli atleti juventini non fossero più disposti a farli pareggiare, dando, nella fattispecie, dimostrazione di inaffidabilità rispetto agli accordi iniziali. Fu Bettega che “provvide” a fare in modo che la partita finisse in pareggio “Brio segnò uno splendido autogol”. Questo è il racconto di Carlo Petrini, che già in altre occasioni ha denunciato i segreti inconfessabili di una società, quella juventina, da lui considerata protetta dal potere. “Non siamo stati arrestati per la vicenda del calcio scommesse perché abbiamo disputato Bologna – Juventus. Se avessimo giocato col Perugia, con l’Avellino o con il Vicenza, saremmo finiti dentro. Avendo giocato conla Juventus, lì, è stato il potere che ci ha salvati.” “Alla fine di quella giornata” – Petrini si riferisce al periodo del processo -, “l’avvocato Chiusano, che era l’avvocato della Juventus, e Giampiero Boniperti, che era il presidente della Juventus, mi chiamarono per dirmi di trovare Massimo Cruciani, e di non farlo venire l’indomani a testimoniare su Bologna – Juventus. Io, promettendogli dei soldi, lo convinsi a non testimoniare.” ha in più occasioni raccontato Petrini in relazione al fatto che, secondo la sua testimonianza, non si fosse mai proceduto contro il club di Torino. Carlo Petrini pubblicherà poi, nel 2005, il libro Scudetti dopati, accusando la Juventus di essersi servita, nel periodo tra il 1994 e 1998, di sostanze dopanti per migliorare le prestazioni atletiche dei propri calciatori.
Oggi, pare, nessuno sia in condizione di contestare l’attendibilità dei fatti descritti da Petrini, sia sul calcio scommesse, sia sulla questione del doping. Una sentenza della Cassazione, del 2007, infatti, dopo un lungo processo, evita la condanna definitiva ai vertici dirigenziali e medici della Juventus, non perché assolti nel merito, ma solo perché risulteranno prescritti i termini per agire oltre. La stessa Corte di Cassazione, nel dispositivo della sentenza, dichiara l’attendibilità della non estraneità all’uso di medicinali vietati da parte della società juventina, non della sostanza EPO, ma di altre, comunque vietate. Del resto, la sentenza della Cassazione è già in sé un fatto significativo. Gli imputati sono colpevoli, ma non punibili. In seguito, altri scandali sportivi hanno caratterizzato la storia recente del calcio italiano, con condanne proprio ad alcune delle società citate anni prima dalle rivelazioni di Petrini. A ben riflettervi, almeno rispetto alla precaria credibilità dell’ambiente messo sotto accusa dal “pentimento” di Petrini calciatore, l’impegno dello scrittore non sembra infondato. Ci si chiede perché non abbia agito in tempo, e perché anch’egli, inizialmente, si sia prestato al sistema. Non credo sia possibile, come d’altronde in ogni dinamica esistenziale, poter delineare i giusti confini tra la colpevolezza e il pentimento, il ravvedimento e l’induzione al vero, laddove l’azione di una sola persona, o di poche altre, non sia sufficiente a stabilire la verità.
Sulla vicenda del calcio scommesse, all’interno di un’intervista, Carlo Petrini racconta pure di un episodio curioso, citando una scommessa andata storta. Un Bologna – Avellino vinta dal Bologna. La partita sarebbe dovuta terminare con un pareggio, ma un gol “imprevisto” di Beppe Savoldi, che pure era stato contattato da Petrini, da Franco Colomba e da altri calciatori del Bologna, diede la vittoria alla squadra bolognese. “Non ci fu modo per farli pareggiare”, dice Petrini, sostenendo insieme ad alcuni suoi ex colleghi, che a volte i calciatori in campo, anche durante partite decise a tavolino, manifestavano un’improvvisa e imprevista inaffidabilità dovuta a personalismi talvolta incomprensibili, come se un incontrollabile spirito di ribellione si determinasse dentro alcuni calciatori in preda a un misterioso impulso di rivalsa. Esisteva, in quel periodo, un uso piuttosto diffuso tra gli scommettitori clandestini. Era quello della “martingala”, e consisteva nello scommettere su più risultati cumulati in una sola giocata. Per vincere, bisognava azzeccarli tutti. Bastava un solo risultato sbagliato per far saltare tutta la scommessa. Ecco che, in segreto e nella freddezza lontana dalla foga agonistica, i calciatori si accordavano sulle partite e sui risultati da combinare. Succedeva però, come accadde in Bologna – Avellino, che qualcuno potesse improvvisamente remare contro gli accordi iniziali, senza nessuna spiegazione se non quella della voglia di vincere. Improvvisamente, gli istanti della fatica e della competizione, sollevati e rinvigoriti dalla spinta del pubblico, potevano prendere il sopravvento sulla settimana che aveva determinato gli accordi a tavolino per le scommesse milionarie. Diceva lo scrittore francese George Bernanos, “E’ pura follia opporre il numero al danaro, perché il danaro ha sempre ragione del numero; difatti, è più facile e meno costoso comprare all’ingrosso che al minuto”.
sebastiano di paolo, alias elio goka