“I simboli, si sa, sono importanti. Rappresentano qualcosa in cui si crede, su cui in tanti si concorda e in cui ci si riconosce. La bandiera è un simbolo. La patria è un simbolo. Il linguaggio stesso è fatto di simboli. Per i simboli si litiga, per i simboli si combatte e si muore, perfino. I simboli non vanno trattati alla leggera. Io lo capisco, il capitano, quando dice che sarebbe il caso di rimetterli a posto, i quadri dei Santi che hanno tolto dai piedi della scala che dagli spogliatoi del San Paolo porta in campo. I simboli, si sa, sono importanti. Rappresentano qualcosa in cui si crede, su cui in tanti si concorda e in cui ci si riconosce. La bandiera è un simbolo. La patria è un simbolo. Il linguaggio stesso è fatto di simboli. Per i simboli si litiga, per i simboli si combatte e si muore, perfino. I simboli non vanno trattati alla leggera. Io lo capisco, il capitano, quando dice che sarebbe il caso di rimetterli a posto, i quadri dei Santi che hanno tolto dai piedi della scala che dagli spogliatoi del San Paolo porta in campo. Ci sono dei punti fermi che rientrano nei mille rituali dello sport, mettere prima una scarpa e poi l’altra, entrare per ultimi sul terreno di gioco, saltellare due volte sullo stesso piede. I più anziani ricordano Sivori, El Cabezòn, che entrava da solo col pallone in mano qualche minuto prima degli altri e si avviava palla al piede verso la porta, per segnare a porta vuota da fuori area, accompagnato dal crescente ululato degli spalti; e non sia mai che la palla, per un falso rimbalzo, un colpo di vento o un ciuffo d’erba, fosse andata fuori: il presagio era terribile. E un altro numero dieci argentino, il più immenso di tutti, entrava per il riscaldamento a scarpe slacciate, danzando col suo migliore amico che gli rimbalzava docile attorno, in mezzo al battito sincrono di tutto l’amore che lo circondava. Più indietro nel tempo un pazzariello bardato d’azzurro accompagnava un asino vero vestito dello stesso colore a fare un augurale giro di campo, e poi spargeva sale dietro le porte per scacciare il malocchio. E il grandissimo Petisso consumò un cappotto color cammello, indossandolo per buon augurio anche d’estate, se necessario. Questo dei Santi rimossi dallo spogliatoio, però, è un altro discorso. Qui non si tratta di fortuna o di sfortuna, di scaramanzia o di rituali. Padre Pio, la Madonna di Pompei, san Giovanni Bosco e soprattutto Lui, san Gennaro: immagini sulle quali far scorrere un dito da baciare successivamente, quadri ai quali rivolgere un pensiero prima di concentrarsi nuovamente sulla prova che si va a sostenere. Magari quel momento aiuta a sentirsi più sicuri; magari si trova un equilibrio diverso, si decomprime la mente; magari ci si sente aiutati, assistiti. E magari gli avversari, vedendo questa consuetudine, quest’amicizia degli azzurri con personaggi così… altolocati, si sentono traballare qualcosa dentro; magari perdono un po’ di forza. Nessuno pensa che sia per questo che la palla va sul palo invece che in rete, o che l’arbitro fischi un fuorigioco che non c’è. Lo stesso capitano sorride, dicendo che ci sarebbe bisogno di un intervento da molto in alto per dare una svolta alla stagione; sa bene che i motivi dell’insoddisfacente gioco risiedono altrove, nel fatto che ormai tutti conoscono le contromisure da prendere quando si affronta il Napoli, bloccando le fasce e intasando la propria area, o nello stato di forma molto scadente di alcuni uomini chiave. Ma la persistente sfortuna, da sempre, trova posto negli alibi di chi non riesce più a vincere con la precedente facilità; si è detto, si dice e si dirà che sono gli episodi a condannare, che dalla prossima partita tutto cambierà, che inevitabilmente la cavalcata vittoriosa non potrà che riprendere. Lo si dice e lo si crede davvero, e ci crediamo tutti, ritrovandoci di nuovo, freddo o caldo che faccia, a urlare di gioia e disperazione al nostro posto, sulle scomode poltroncine del nostro piccolo grande Paradiso, che così facilmente può diventare inferno. E che Paradiso può essere, senza i suoi Santi? Perciò ha ragione il capitano: rimettiamo i nostri simboli al loro posto, perché su quel muro non può essere attaccato niente di più importante di Loro. Hai visto mai, che il palo si faccia un paio di centimetri più in là”?
Fonte: Il Mattino
Articolo modificato 11 Feb 2012 - 10:16