Due mesi fa il sorteggio. Due mesi fa, la prenotazione dei voli per Londra perché la nostra avversaria sarebbe stata non facile, ma neanche impossibile. Il Chelsea. Due mesi fa il pensiero di prenotare, male che vada, un viaggio in buona compagnia sperando di non fare brutte figure, come non le abbiamo mai fatte in Champion’s. Due mesi fa, eravamo già in trepida attesa per questa partita. Non una partita qualsiasi, ma una di quelle in cui a scendere in campo sono due tra le 16 squadre più forti d’Europa. E una di queste due, siamo noi.
Due mesi per prepararci mentalmente ad affrontare i blues. Due mesi in cui è stato difficile pensare ad altro. Due mesi in cui chi vede il calcio come l’oppio dei popoli mi ha continuato a ripetere: “Ma è soltanto una partita di calcio”.
Sì, certo. E’ soltanto una partita di calcio.
In questi due mesi non abbiamo giocato bene, anzi, a dirla tutta, il nostro Napoli ci ha fatto tornare spesso a casa molto arrabbiati. Messi in difficoltà da Siena, Cesena, Bologna, Genoa…il Chelsea si avvicinava a noi sempre più come un gigante minaccioso, seppur in un periodo non felice. Li abbiamo temuti, come tutti gli avversari che si rispettino, però le vittorie con Chievo e Fiorentina ci hanno dato una bella iniezione di fiducia.
E quindi, dalle 22:30 di venerdì scorso, c’è stata in mente solo lei. Ero emozionata, non ho parlato d’altro, c’è chi mi ha sopportato con molta pazienza pensando che in fondo era solo una partita di calcio.
Mi è venuta l’influenza. Raffreddore e gola in fiamme. Decimi di febbre. La mattina decido di non andare a lavoro e quando avviso, chi è dall’altro lato è spaventato dal fatto che io non possa presentarmi allo stadio. Probabilmente, pensando che non valga la pena rischiare solo per una partita di calcio. Io la rassicuro, imbottendomi di Tachipirina e Fluibron. Dalla mattina, subito si capisce che nessuno riesce veramente a lavorare. C’è un’ansia diffusa, in rete si parla solo dell’evento sportivo del mese, il Carnevale passa inosservato. Leggiamo di un Lavezzi carico e questo fa ben sperare. Guardiamo le immagini dei blues che si godono il nostro sole passeggiando sul ponte di Castel dell’Ovo. Ci telefoniamo almeno dieci volte per sapere a che ora avviarci allo stadio. Ne saremo tanti, tocca prendere parecchi posti e tutti vicini. C’è chi pranza a Fuorigrotta per far prima. C’è chi ha avuto un’emergenza e fa più tardi del previsto. C’è chi fa una sorpresa, tenendosi per sé il fatto di aver trovato il biglietto. C’è chi ha la febbre da Champion’s già da giorni e non se la toglie più di dosso. C’è chi la sera prima non dormiva e cercava alleati su Facebook per stemperare l’ansia e ne ha trovati tanti. C’è chi si saluta più volte dimenticandosi di averlo già fatto. C’è chi ha sognato un amico speciale con la sciarpa azzurra al collo pronto ad accoglierlo a Londra, e chi quest’amico speciale è riuscito a portarlo in qualche modo in curva con noi.
Arriviamo allo stadio alle quattro. E c’è già fila ai cancelli. Raggiungiamo il pazzo che è lì dalle due. E se non ci fosse stato lui, chissà cosa vi avrei raccontato.
Siamo euforici. In fondo ci crediamo, ma non lo diciamo. Entriamo alle 17. Manca tantissimo al fischio d’inizio e ognuno passa il tempo come può. E allora spuntano settimane enigmistiche, giornali per fare coriandoli, telefonini con su una puntata di “SFIDE”, ovviamente con Diego come protagonista, discorsi su dove vedere la partita a Londra nel caso non dovessimo trovare il biglietto, la parola pub che torna un centinaio di volte, facce tese e nervose chiuse in religioso silenzio, scotch bianco a delimitare coreografie sconosciute. Il San Paolo è vestito da Champion’s ed è sempre più bello. Pensiamo erroneamente di vedere i distinti e le tribune vuote. I prezzi scandalosi di questi due settori avrebbero scoraggiato chiunque, ma non i tifosi azzurri, venuti da tutta Italia per l’occasione. C’è solo, giustamente, una protesta nei distinti: si lasciano simbolicamente vuote tre file con uno striscione “Tu vuoi lucrare. Noi vogliamo vincere.” Sacrosante parole. Ma è anche vero che chi spende tanti soldi per prendere un aereo, magari da Torino, solo per una partita di calcio, ne spende anche 100 per vedersela dal vivo, pelle a pelle, cuore a cuore. Ma commentiamo con tutta sincerità che, se avessimo avuto la prelazione nei distinti, probabilmente non li avremmo acquistati. E il Presidente ci avrebbe rubato un’emozione immensa.
Alle ore 20 circa entrano gli azzurri in campo per il riscaldamento. Poco prima entra il Chelsea tra fischi assordanti. Giusto per far capire chi comanda. Attendiamo chi non trattiene mai l’ultima pipì e mettiamo in scena il nostro rito scaramantico con i chicchirichì. Voluti disperatamente, cercati e trovati grazie a dei validi aiutanti. Vediamo che Campagnaro c’è. De Sanctis è più bardato del solito. Il capitano saluta la curva, come sempre. Dall’altro lato Drogba, Essien, Malouda, Cech, Sturridge, Cole. Una bella squadretta, ma non dobbiamo avere paura. In fondo è solo una partita di calcio.
Le squadre tornano negli spogliatoi e noi cominciamo a guardarci negli occhi tesissimi. Parte la musichetta. Noi partiamo con la coreografia. Il nostro settore è quello dorato. Zio Ciro che si agita con il foglio in mano viene ribattezzato “Zio Cir-leader” ed essendo lui l’abituale appassionato di coriandoli del nostro gruppo, gli si rivolgono complimenti quando entrano in azione i cannoni spara-coriandoli sopra la nostra testa con un “Zio Ci’, che t’e firat’e fa’!”.
L’urlo del San Paolo sul “The Champion’s” finale è impressionante. Ora siamo veramente pronti.
Il Napoli comincia bene. Ci diciamo che l’importante è che non ci facciano goal. E infatti ce lo facciamo noi, quasi da soli. Mata è degno del suo nome e ci gela tutti. La curva si zittisce, ma io ci credo e incito a non demoralizzarci. Sarà anche solo una partita di calcio, ma non bisogna mai mollare le cose importanti per un errore solo.
E poi….che ve lo dico a fare?! Lavezzi finalmente vede la porta. Cavani segna di spalla, anche se c’è chi giura che l’ha visto segnare col cuore. Gargano si danna a recuperare palloni, Inler a smistarli, Aronica a spazzarli via. Campagnaro viene ribattezzato Sandokan per il turbante. Ad un certo punto in campo è entrata anche Puffetta, e non era Gargano mascherato da Carnevale. E dopo l’intervallo ne abbiamo ancora. Lavezzi fa il terzo ed è un goal a metà tra lui e Cavani. In curva il delirio. C’è chi grida, memore della puntata di “Sfide” appena vista, di vendicare le Falkland. Ci siamo abbracciati, ci siamo cercati uno ad uno, baciamani, bacia guance, urla e braccia alzate al cielo. E lacrime. Lacrime di gioia, si capisce. Lacrime di chi è abituato a soffrire, a lottare, a rialzarsi, a ricadere e a non disperare. Lacrime di amici che sono sempre più uniti, lacrime di sconosciuti che vogliono condividere, lacrime di chi sa come amare una passione fino in fondo. Lacrime di chi si emoziona nel sentire da Villas Boas che “il Napoli non è una squadra, ma è lo stato d’animo di una città.”
Prima di andare allo stadio ho letto il post di un ragazzo di vent’anni che criticava chi pensava solo alla partita, che il calcio è solo un giro di soldi e chi andava allo stadio avrebbe potuto cambiare il mondo e invece buttava i soldi per far arricchire altri.
Al ritorno dallo stadio leggo il post di un amico che scrive al nostro gruppo: “Come siamo belli. Siamo degli amici di scuola in gita. Scorre affetto a fiumi, più dei Borghetti. Vi abbraccio tutti…Champiooooonssss!”.
Beh!E ora venitemi a dire che è stata solo una partita di calcio.