Campagnaro docet: si è sempre in tempo per realizzare un sogno


La prima volta.”

A qualunque esperienza della vita venga estesa questa frase, cela e aggroviglia dentro di sé, inevitabilmente, emozioni, aspettative, stati d’animo contrastanti, discordanti, avversi, che si fronteggiano, contendendosi, a loro volta, il titolo di “primo ad aver bussato alla porta del cuore.”

E’ proprio vero che “gli esami non finiscono mai” ed è per questo che si è sempre in tempo per vivere “una prima volta.

Non è mai troppo tardi o troppo difficile o troppo improbabile che avvenga, che si riesca a conoscere, assaporare, sentire qualcosa di nuovo, inatteso, voluto, fortemente voluto, soprattutto quando alla prima volta in questione non si associa “un” sogno, ma “il” sogno.

Lo ha imparato Hugo Armando Campagnaro che, in questi giorni, all’alba dei 31 anni, sta vivendo “il” suo sogno: la convocazione in Nazionale.

Per la prima volta nella sua vita “il maschio angioino azzurro” scenderà in campo vestendo la camiseta azzurra, quella che sognava da bambino e che ha rincorso durante tutta  la sua carriera di calciatore, fino ad oggi.

Sguardo da cui straripa una grinta che “spaventa” gli avversari, quel volto reso “di pietra” dalla maschera di concentrazione e fame di vittoria che indossa ogni qualvolta scende in campo, la sua espressione ulteriormente “incattivita” dal paradenti che è solito adoperare durante ogni match.

Questo vede Napoli quando guarda Hugo Campagnaro.

Ma dentro quella maglia azzurra c’è molto di più: c’è un cuore che batte forte, soffre, gioisce, si emoziona, si adira, si commuove, stride, scalpita, urla, anche se non lo lascia trapelare.

C’è una storia intrisa di ricordi e momenti topici che lo stesso Campagnaro ha raccontato alla rivista argentina “Clarin”.

Oggi Hugo, nonostante i 10 anni trascorsi in Italia, conserva ancora l’accento dell’idioma della sua terra: Cordoba.

Perchè Hugo non ha mai smesso di essere “argentino.”

Oggi Hugo, quando si guarda intorno, si imbatte nei volti di Higuain, Messi, Mascherano, Aguero. E non per effetto di quanto sta trasmettendo la sua tv: li vede, gli parla, è con loro nella vita reale, è uno di loro.

Oggi Hugo racconta che, quando, all’età di 16 anni,  partì da Rio Quarto alla volta di Coronel Baigorria, alla ricerca di una squadra nella quale giocare a calcio, la sua borsa era più ricca di sogni e speranze che di altro, ma il suo primo allenatore, il tecnico del “Moron”, lo scartò, motivando la sua scelta con l’abbondanza di laterali destri.

In seconda battuta, il coordinatore della stessa società, optò per il suo tesseramento.

Al termine della scuola secondaria, Hugo decise di studiare giornalismo sportivo, e per due anni scrisse per la rivista “Solo Futbol.”

Dal calcio giocato a quello scritto e parlato: la differenza è sostanziale, ma non per Hugo.
Quello che appare inconfutabile è la grande passione che lo lega a questo sport e la sua volontà di attivarsi per far sì che questo sport divenisse “il suo mestiere”, in ogni caso.

Ma nel suo destino non c’erano una scrivania ed un portatile, bensì le scarpette e il pallone e, con il senno di poi, possiamo dire anche “l’ azzurro.”

L’unica volta che ha giocato come da esterno destro nel Moron fu notato da un osservatore del Piacenza e nel giro di una settimana si è ritrovato in volo verso l’Italia.

Da qui in poi la sua storia è “cosa nota.”

Oggi Hugo è un difensore che milita nel campionato italiano da 10 anni, ha disputato 300 partite nel calcio professionistico, approdando anche in Champions League con il Napoli. Eppure in Argentina non è rinomato.

La sua gente” non lo conosce.

Perchè è andato via da quel Paese troppo presto.

Ma non è mai troppo tardi per “le presentazioni ufficiali.”

Oggi Hugo vive il suo sogno, rappresenta in campo la sua Nazione, quell’Argentina nella quale ha vissuto anche l’incubo più nefasto della sua vita, allorquando l’estate scorsa, mentre era alla guida del suo Suv, è rimasto coinvolto in un incidente stradale nel quale hanno perso la vita 3 persone, tra cui uno dei suoi più cari amici.

E’ il più grande dolore della mia vita, questi sono colpi che lasciano cicatrici nell’anima. Cercherò di ricordare chi non c’è più nel miglior modo possibile.”

Una ferita che sanguina ancora, abilmente ricoperta dall’armatura del guerriero, uno di quei dolori con i quali impari a convivere, ma che non puoi superare.

Quella sua tempra, instancabile, difficile da fendere e da annientare, ha fatto si che, la sua terra, la stessa Argentina che ha ospitato impotente quella tragica fatalità, abbracciasse anche il suo più grande sogno.

Oggi Hugo fa fatica a reggere e gestire l’emozione, perchè questa convocazione è arrivata quando stava iniziando a perdere le speranze.

Vederlo scendere in campo è la sua vittoria, ma al contempo, è anche la vittoria di coloro che dormono tutte le notti abbracciati con i loro sogni e non smettono mai di credere che un giorno potranno vivere “l” ‘ emozione di “quella” prima volta.

Luciana Esposito

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