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Mazzarri e la mancata panchina d’oro: in Italia non c’è dubbio, lui l’ha meritata sul campo

Che la sua panchina debba essere d’oro, a Napoli nessuno ha più dubbi. La celebrazione di Mazzarri continuerà negli anni, la stagione vissuta dalla sua squadra in Europa è esaltante come mai era capitato, neppure ai tempi di Maradona. E il premio assegnato dagli allenatori italiani al loro collega più bravo sarebbe stato il suggello per le imprese compiute. I presupposti c’erano tutti: il terzo posto ottenuto nello scorso campionato è titolo incontestabile, come i meriti confermati quest’anno. Hanno preferito Guidolin, un riconoscimento a una carriera trascorsa lontano dalle grandi città, confezionando in provincia piccoli miracoli. L’Udinese è solo l’ultimo, essere dietro Milan e Juventus (per ora) vale uno scudetto se ottenuto in uno stadio spesso semivuoto, dove anche i presenti sono incontentabili.

Carriere quasi parallele quelle di Mazzarri e Guidolin, molto simili sono anche la partecipazione emotiva alle prestazioni dei loro giocatori, le energie spese durante le partite, gli spigoli di un carattere che comunque per entrambi rappresenta un segno di forza. In comune hanno anche un sogno impossibile: interrompere questa serie di vittorie che da undici anni si muove sull’asse Torino-Milano. Diversa forse è solo la proiezione delle loro carriere e non solo per i sei anni di differenza iscritti sulle loro carte d’identità. Mazzarri ha confessato che avrebbe votato per Guidolin se non fosse arrivato in ritardo a Coverciano, nel conclave che ha eletto il re per un anno; l’ammissione vale come medaglia al valore della sincerità per l’allenatore del Napoli che sa quanto sia difficile vincere là dove non si è abituati. Lui a Napoli ha dovuto combattere contro un passato lontano e insieme perennemente incombente. E’ riuscito a battere la nostalgia, a convincere tutti che si può anche non continuare a vivere di ricordi.

Per sostituire un idolo che pareva paralizzare ogni progetto con le memorie dei suoi due trionfi, ha creato un bellissimo mostro a tre teste e sei piedi: Cavani-Lavezzi-Hamsik valgono Diego. In questo momento traina l’altro argentino, quello che Maradona convocò in Nazionale quando qualcuno era ancora scettico sul suo valore, quello che oggi fa impazzire una città e attira osservatori da tutto il mondo, quello per il quale varrebbe la pena scongelare la maglia numero dieci indossata l’ultima volta da Pampa Sosa in serie C e poi ritirata quando il regolamento ha imposto che ci fosse un nome sulla casacca.
E tutti i nomi sarebbero apparsi inadeguati. Oggi non è più così, l’investitura qualche mese fa arrivò proprio dall’augusto titolare, dal più amato di tutti che nella galleria dei grandi resterà per sempre, magari immortalato in un monumento equestre che ornerà il prossimo stadio che De Magistris e De Laurentiis insieme prima o poi realizzeranno. Quel giorno sarebbe fantastico per Napoli e per il Napoli che in panchina ci fosse ancora Mazzarri, l’allenatore manager che ora tutti invidiano. Per lui preparate una panchina d’oro. L’ha guadagnata sul campo, varrà ancora più di una assegnata per elezione.

Fonte: Il Mattino

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Scritto da
redazione