Vi proponiamo le osservazioni del Caporedattore delle pagine sportive de Il Mattino Toni Iavarone.
Il Napoli deve sempre complicarsi la vita per provare a decifrarla, e magari venirne a capo. Il finale col Catania è da film dell’orrore, oppure da giallo in cui non si conosce ancora il nome del colpevole. Per la verità, gli azzurri in difesa sono rei, ovvero continuano a svirgolare goffamente sui colpi di testa. Con untale patema il Napoli poteva solo soffrire. L’incubo si è trascinato pure per le occasioni da gol sprecate. Con lucidità ne ha parlato Mazzarri. Il tono è stato pacatissimo. Nella zona interviste, finita la partita, l’allenatore è stato il più severo critico del Napoli. E poiché la squadra, raggiunta per due volte dal Catania, ha messo a nudo i difetti, vale la pena capire dove si nascondono i nodi da sciogliere.
Quella azzurra è una compagine che spesso risulta molto sbilanciata: è spezzata in due tronconi e offre spazi agli avversari. Tuttavia non è questione di modulo, né di quantità degli attaccanti in campo. Il problema è un altro: i centrocampisti non tornano ad aiutare la difesa, che già di suo naviga in un mare di problemi (ahi Campagnaro!), e, per di più, spesso non fanno pressing, strumento irrinunciabile allorché si sceglie, grazie alle ripartenze, un sistema di gioco così offensivo. Prendiamo l’esempio del Catania: pressa, corre e torna indietro. Anche il Chelsea – pur con le dovute proporzioni nei confronti del pur meritevole «undici» di Montella – contro il Napoli ha avuto questo tipo di atteggiamento: appena perdeva palla, pressava con ferocia, a cominciare dalle punte. Pertanto, in vista dell’incandescente finale di torneo, occorrerà aggiustare non tanto l’assetto sul terreno di gioco, quanto l’utilizzo del pressing. È ovvio che questi sono discorsi teorici. La logica dice che il Napoli rischia troppo e che pure la retroguardia ha colpe: non conserva lucidità nel marcare gli avversari sulle palle inattive e soprattutto pecca di furbizia. Ormai si gioca solo di nervi e cuore, un po’ aritmico a dire il vero.
D’altro canto, bisogna riconoscere che il Napoli, Champions esclusa, non perde da otto partite. Il dato si può interpretare da due diverse prospettive. Quella indulgente suggerisce di sottolineare maggiormente gli elementi confortanti: l’imbattibilità, in primo luogo, e poi l’affidabilità della classe dei tre attaccanti – anzi quattro, Pandev incluso – emersa nei momenti più difficili, a fronte, peraltro, delle distrazioni patite nelle gare più facili, come quella casalinga di ieri, nelle quali si paga lo scotto di affrontare avversari psicologicamente rilassati. La lettura pignola dei fatti impone invece di rilevare come le ultime due partite, Udinese e Catania, si siano trasformate in altrettante piccole «Caporetto». Poiché finora per l’una e per l’altra tesi manca la controprova della fase decisiva del campionato, per il momento si può soltanto prendere atto di un’evidenza: il metodo Mazzarri – difesa a tre, le sue punte d’assalto – sta dividendo critica e tifosi. Di sicuro l’allenatore toscano non si presta alle mezze misure: persegue l’obiettivo di perfezionare il suo ingranaggio e non indietreggia. Ha scelto la base della squadra titolare e a quella si affida, a costo di pagarne le conseguenze. E qui non c’entra la gestione della panchina, che se fosse di maggior qualità non avvertirebbe i cali di tensione come proprio tallone d’Achille. Se dunque i difensori sono poco concentrati e i centrocampisti non tornano, l’essenziale è che tornino i conti. Perché da domenica contro la Juve partirà un nuovo inseguimento alla Lazio e la zona Champions è sempre lì, a tre vicinissime lunghezze.
Fonte: Il Mattino
Articolo modificato 26 Mar 2012 - 09:07