Gigi Buffon ferma la Jeep bianca, regala autografi e sorrisi ai tifosi. E’ uno spot dell’entusiasmo ritrovato, perché persino lui era sprofondato nelle critiche. Storia di un anno fa, sembra il paleolitico: il portiere è tornato Superman e la Juventus pensa in grande, sfida il Milan in campionato e aspetta il Napoli nella finale di Coppa. L’intervista racconta la metamorfosi di una squadra, ma anche le aspettative di un eterno ragazzo: lo scudetto, l’Europeo, il rinnovo contrattuale… Con divagazioni su altri personaggi del suo mondo, da Del Piero, campione senza tempo, a Stramaccioni che s’affaccia adesso.
Buffon, sia sincero: quanto avrebbe scommesso, alla vigilia della stagione, su una Juve così in alto?
«Poco, anzi nulla: ci speravo, però non ci credevo».
Il segreto?
«L’ambizione che il nostro allenatore ha dimostrato sin dal primo giorno, supportata da lavoro duro e insegnamenti sul campo. Ci ha conquistato e forgiato caratterialmente: ci hanno spinto il sudore, la forza e il sacrificio, insieme con il nuovo stadio e la voglia di cancellare due brutte annate».
Conte, sin dalla prima conferenza, l’ha indicata come un valore aggiunto…
«Penso che per aiutare un tecnico non ci sia altro che le prestazioni: certo, devi anche dare l’esempio fuori dal campo, ma questo è un gruppo di ragazzi uniti e rispettosi, c’era più bisogno di continuità nelle partite».
Nell’ultimo campionato è mancata: ha mai temuto una flessione anche quest’anno?
«Mai, anche se certi pensieri ti sfiorano: sentivo che avevamo costruito basi solide».
Infatti siete gli unici antagonisti del Milan…
«Ha quattro punti in più, ma non molliamo: dobbiamo dare tutto per non avere ulteriori rimpianti alla fine».
Il Barcellona è un avversario duro: ritiene che i rossoneri, concentrandosi sulla Champions, possano perdere terreno?
«E’ difficile. Com’è difficile la sfida con gli spagnoli».
L’Inter in classifica è distante anni luce…
«Nessuno se l’aspettava: resto convinto che abbia un organico competitivo. La verità è che certe stagioni fanno storia a sè, nascono male e finiscono peggio: posso ben dirlo perché negli ultimi anni ne ho viste e passate tante».
Stramaccioni, il nuovo allenatore nerazzurro, ha appena un paio d’anni più di lei: cosa pensa delle panchine giovani?
«Se non si tratta di moda, ma di scelte ponderate ben vengano: quando si ravvisano le qualità, è bello osare».
L’anno scorso ne ha passate tante, diceva: cosa pensa di certi giudizi taglienti oggi che è tornato Superman?
«Le critiche possono starci, però c’è un limite. So che i sei mesi dopo il rientro non sono stati i migliori della mia vita sportiva, però mi ero ripreso da un’operazione e due o tre errori potevano essermi concessi. Ci sono state anche partite in cui ho parato bene, solo che la situazione era particolare: la Juve andava male, io venivo dall’infortunio, c’era sfiducia. Non ho rancore e conosco le regole: fossi stato il signor nessuno, certe cose non sarebbero successe».
Le più belle parate di quest’anno?
«La più importante a Udine, su Isla. Poi con il Milan in casa, su Boateng. E anche a San Siro, su Mexes e Muntari: tutti hanno parlato del gol-non-gol, dimenticando due interventi niente male».
Nei giorni successivi l’hanno attaccata per le sue dichiarazioni: confessò di non aver visto il pallone oltre la linea, aggiungendo però che in caso contrario non avrebbe dato una mano all’arbitro…
«Hanno voluto salvaguardare il fair play e il rispetto delle regole agli occhi degli sportivi e dei bimbi: è giusto, ma è vero pure che davanti a cose così evidenti non puoi essere ipocrita. Dicono: “tu sei un esempio”. Ma io non devo educare nessuno, se non i miei figli: ogni genitore può spiegare ai propri certe cose»
Il suo contratto scade nel 2013 e si lavora al rinnovo: Juve per sempre?
«A me interessa non rubare soldi e quindi giocare finché mi sento bene, ho stimoli e sono competitivo ai massimi livelli: le componenti ci sono tutte e la Juve, ovviamente, ha la precedenza».
Poi America e Cina, come ha confidato alle Iene nell’intervista “dal futuro”?
«Ogni tanto ci penso, ma tutto dipende dall’età fino a cui manterrò certi livelli: se dovessi rimanere in Nazionale fino a 38 anni, per esempio, difficilmente avrei poi voglia di andare all’estero».
Cosa dice della settimana magica di Del Piero?
«Sono contentissimo. Ale si allena con voglia per rimanere competitivo più a lungo possibile e nonostante le avversità che possono esserci riesce sempre a far parlare in positivo, facendo gol e non facendo polemiche. Non so se riuscirei a tenere un comportamento così e per questo lo ammiro ancora di più».
I tifosi sognano il rinnovo, ma l’addio sembra scritto…
«Non conosco bene la situazione di Ale e non ho idea se cambierà qualcosa, anche se me lo auguro: staremo a vedere, se dovesse andar via mi mancherà».
Domenica c’è il Napoli…
«E’ la squadra italiana che apprezzo di più: credo pratichi, insieme a noi, il calcio più divertente e si vede la grande mano dell’allenatore. A Londra è andata male, ma ha giocato a viso aperto: non è da tutti».
Ritroverete gli azzurri in finale di Coppa Italia…
«Vorremmo sollevarla, ricominciare a vincere: si innescherebbe un meccanismo importante, dopo tre mesi ci sarebbe la Supercoppa…».
Ha visto giocare Leali? Dicono sia il suo erede e infatti la Juve l’ha bloccato…
«Mi sembra un portiere affidabile, da grande squadra. Anche quando il Brescia viveva il periodo peggiore, non ha commesso errori grossolani: significa avere stabilità mentale, è importante per stare in una big».
Quanto può pesare essere considerato il nuovo Buffon?
«Non ho idea. Può anche stimolare o infastidire. Da ragazzo mi rompeva un po’ essere accostato troppo a qualcuno: nessuno è mai uguale e comunque si può diventare anche più bravi. Al debutto azzurro, in Russia, mi dissero che potevo diventare forte come Yashin: “E perché non di più?” replicai».
Fonte: Corriere dello Sport