Si è spenta la luce. Il Napoli ha ufficialmente smarrito la bussola delle proprie ambizioni, lasciando fuori dalla porta dignità e rispetto per i propri colori. Ci può stare, tutto sommato, una sconfitta contro la squadra di Conte, in palla e fisicamente devastante, ma lasciare negli spogliatoi i pochi brandelli di gioco che questa squadra aveva mostrato ancora nella prima parte della ripresa di domenica scorsa contro il Catania o nella ultima parte di gara contro l’Udinese due settimane orsono, è stata fatale agli undici partenopei. E’ l’ennesima riprova che questi ragazzi hanno ancora tanto da imparare sotto l’aspetto caratteriale, evidenziato dall’attegiamento della squadra sin dal primo minuto, sciorinando un gioco scontato e timoroso, impreciso e votato a badare più l’aspetto distruttivo, con continui falli, spesso snervanti, e puntando all’effetto rinunciatario tipico delle squadre povere tecnicamente, insomma le classiche “vittime sacrificali” delle big. Ecco, in poche parole, la gara di stasera ha gettato una squadra che ha impiegato mesi per costruirsi un blasone di tutto rispetto, con prestazioni lodevoli e trame di gioco esaltanti, in una condizione mentale di depressione, pericolosa ed inaspettata in questa fase del campionato che, a conti fatti, è la fase cruciale della stagione. Gettare la spugna prima ancora di scendere in campo non fa parte del DNA visto fino ad ora dalla squadra di Mazzarri, il quale paga alcune scelte discutibili, in primis il fatto di non schierare Pandev dal primo minuto, scalpitante e probabile sorpresa, candidatura ancor di più avallata dal fatto che Hamsik, in evidente difficoltà a livello fisico e caratteriale, era influenzato e quindi inerme al cospetto di un centrocampo bianconero di alto livello, con Vidal che ha giganteggiato, impersonando l’uomo in più della squadra di Conte. Una delle note dolenti è rappresentata ancora una volta dall’ennesima uscita di scena prematura da parte di Maggio che, così come a Londra, è risultato determinante. Già, perchè con Dossena in campo e Zuniga (rosso da “dilettante, che il Napoli pagherà caro vista la concomitanza con l’infortunio di Maggio) spostato sulla sua zona naturale, il Napoli ha perso la spinta del nazionale azzurro, cosa non da poco visto gli ultimi tempi. Scomparso il gioco sugli esterni, il Napoli s’è definitivamente spento come un cerino al vento, rinunciandi definitivamente alla profondità e puntando sui soliti lanci sterili e sconclusionati, ora di Aronica, improbabile playmeker difensivo, ora di Campagnaro, quelli di quest’ultimo più somiglianti a rinvii da “viva il papa“, anche se è l’unico a mostrare un pò di iniziative, spingendosi in avanti con interessanti discese palla al piede. Un pò più in partita, ma non estraneo alle colpe, Cannavaro ha almeno dalla sua il fatto di aver mostrato i denti nella prima frazione, annullando Borriello ma naufragando nella ripresa, intontito dalla veemenza degli avanti juventini, primo su tutti Vucinic, spina nel fianco per l’intera gara, senza brillare, puntando alla concretezza, a discapito dei preziosismi. Lo stesso De Sanctis ha cominciato la gara con una serie di errori sui rinvii, per rassegnarsi poi sui tre gol, colpevole sul terzo di Quagliarella, sbagliando la copertura sul primo palo, di sua competenza. Eremita nel deserto è stato Inler, ordinato per i primi venti minuti, chiude il primo tempo in affanno e comincia la ripresa con la solita cantilena “vorrei ma non posso”. Entra Pandev che almeno ha il merito di provarci, peccando spesso in eccessivi dribbling e non cercando mai la conclusione. Lo stesso Dzemaili entra in una fase di gioco “piatta” come il battito azzurro, in grado soltanto di alcuni spunti dettati più dalla caparbietà personale che dalle tecniche di manovra. Sorprende come l’attacco questa sera sia stato totalmente scollegato dal gioco, senza grinta Lavezzi, lontano dal giocatore decisivo che tutti conosciamo, oramai anche poco lucido e troppo lontano dallo specchio della porta per essere considerato letale. Bravi anche i difensori juventini, non c’è che dire, con un Chiellini diligente e concentrato ed un Bonucci in stato di grazia, ma ci si aspettava una prova di spessore che avrebbe determinato almeno qualche azione degna di nota. Buio totale. E non è certo Cavani ad accendere la luce. Brancola tra centrocampo ed attacco, finendo in una dimensione temporale chiamata “nè carne nè pesce”, si nasconde e diventa l’ombra di se stesso quando si incaponisce, innervosendosi con se stesso e con tutto ciò che si muovesse da lì ad un metro da lui. Cos’è che lo rende così nervoso ? mistero della fede. Già, una fede, quella per i colori azzurri, minata dai contorni di una gara che non esiste sotto l’aspetto “passionale”. Un Napoli perdente può essere accettato dai tifosi, che hanno perdonato ben altre sconfitte, cocenti almeno quanto questa, ma “prenderle” senza lottare è da inetti, da giocatori che dimenticano troppo in fretta quanto valga questa partita per i tifosi sotto l’aspetto storico dell’evento. Rimane il triste compito di raccogliere i cocci di una umiliante sconfitta e ribaltare l’amarezza in energia positiva per puntare al bottino pieno già dalla prossima gara, altra finale, non c’è che dire, contro i biancocelesti della Lazio di Reja, diretti avversari per il tanto agognato posto in Champions. Lo scherzo di questo primo Aprile non è andato giù ai napoletani. Che questa sia una sconfitta costruttiva, sulla quale Mazzarri e company possano studiare le varianti alternative per non affondare proprio sul più bello. I tifosi continuano a crederci, basta metterci cuore, anima e sudore. Siamo ancora lì, ma basta scherzi di pessimo gusto come quella di ieri, meritiamo ben altri attegiamenti… fuori…il carattere !