Anni a subire lezioni. E le ha restituite tutte in una volta. Questa è la Juventus di Antonio Conte che il Napoli ha riavviato alla gara-scudetto senza riuscire a intimidirla, anzi dandole in più la carica dell’orgoglio. Amaro epilogo di una giornata già addolorata per la scomparsa di un Amico, Totò Ghirelli, al quale gli azzurri volevano dedicare un successo importante, piegando la Vecchia Signora avversaria di sempre. Amaro epilogo – forse – di una affannosa ricerca del tempo e dei punti perduti per tornare in Champions e rivivere la splendida avventura europea conclusasi a Stamford Bridge. Lo score dice tre a zero e gol di Bonucci, Vidal e Quagliarella: il primo, un affronto firmato da un difensore senza qualità; il terzo, uno schiaffo attutito dalla napoletanità dell’autore ripudiato a suo tempo dalla città amata. Elementi di una sceneggiata che a freddo pare costruita apposta per celebrare un vistoso fallimento. Sulla ferita, il sale di quel canto – “’O surdato ‘nnammorato” – che scaldava il San Paolo. Ho sentito Paolo Cannavaro dire che andava felice al battesimo dello Juve Stadium, adesso c’è rischio che la batosta diventi una memoria indelebile, una vistosa traccia di sudditanza. La partita farà storia nel diario bianconero, sarà vista e ripassata millanta volte dai tifosi della Juve, mentre chi – di ritorno da Torino a Napoli – sarà interrogato sulle modalità dell’evento, saprà solo dire «non c’è stata storia». Anche quando pareva tutto in ordine, nel primo tempo, non c’è traccia di quella rabbia che gli azzurri avevano promesso di portare a Torino; a ripensarci – mentre scorrono le immagini – si ha l’idea che la Juve abbia giocato al gatto col topo, lasciando che i Tre Tenori s’illudessero, addirittura proponendogli vita facile schierando l’immobile Borriello. Niente, il Napoli non ha sfruttato neanche questa facilitazione e la lasciato la partita nei piedi e nella testa di Pirlo e nelle mani di Buffon. Non ha cuore, il Napoli, nemmeno per ribellarsi al tocco proibito di Bonucci, quella deviazione-gol viziata di fuorigioco che, invece di procurare una vistosa reazione, ha raddoppiato la timidezza della squadra di Mazzarri. Walter, vero termometro della febbre da stadio, avrà più degli altri compreso la terribilità dello stadio juventino che quest’anno ha fornito “assistenza” nei confronti con le grandi, mentre s’è poco accalorato con le squadre minori ch qui hanno arraffato punti a volontà. Questa volta, mentre in Casa Azzurri si dibatteva sulla fragilità della difesa e di certi vuoti a centrocampo, il Napoli è sembrato scarso in tutti i reparti, ma mi par di capire che la vera stroria sia un’altra: è incappato nella Juve più forte e spietata della stagione che ha spedito al Milan il guanto di sfida finale. Archiviata la batosta, resta aperta la caccia al terzo posto: la Lazio – come avevo pronosticato sabato sera a Reja – è come se non avesse perso a Parma, visto che Udinese e Napoli hanno pagato la trasferta, Sabato, vigilia di Pasqua, il Napoli andrà all’Olimpico proprio per tentare l’aggancio e immagino che Reja si organizzerà adeguatamente, come se fosse il suo secondo derby da vincere. Mazzarri sa che un’altra sconfitta svuoterebbe di significato la stagione, lasciando un posticino nell’Europetta conquistata con la finale di Coppa Italia. Rinviamo bilanci in attesa di un risveglio della compagnia piegata a Torino.
Il ricordo di Antonio Ghirelli, l’ultimo dei Grandi Maestri di giornalismo – e non dico solo di sport – non sarà comunque collegato a una sonora sconfitta del suo Napoli, perché decenni di militanza sportiva gli hanno permesso di vivere e di scrivere le pagine più belle della storia azzurra, consentendogli addirittura di fare del Napoli una filosofia: la Scuola Napoletana, da lui creata, da Gino Palumbo portata ai massimi splendori, è memoria di un’estetica pallonara da molti ignorata, da tanti dimenticata; io l’ho vissuta partecipando alla lotta su entrambi i fronti, con Brera maestro e Ghirelli avversario da studiare e conquistare; finchè non mi ha conquistato lui, ma non con l’accattivante qualunquismo tattico, bensì con una intelligenza straordinaria e comunicativa, con un talento ch’era musica e una modestia che solo i grandi possono esibire senza apparire accondiscendenti o bugiardi. Gli ho anche voluto bene negli anni in cui – i più recenti – mi ha intrattenuto con la storia della sua vita politica pr dirmi due cose: la prima, avvicinati a me; la seconda, sto avvicinandomi a te. E non parlavamo di calcio.
Fonte: Ilroma.net