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Morire a 25 anni, mentre rincorri la tua passione: il calcio.

Inaccettabile, incomprensibile, agghiacciante, scioccante, traumatica realtà della storia moderna.

Nell’immaginario collettivo, un calciatore incarna l’emblema della salute, rappresenta un’icona di impeccabile tenuta atletica e vigore fisico.

Ed è per questo che un arresto cardiaco, maturato all’interno del rettangolo verde, coglie impreparati tutti.

Anche gli addetti alle manovre di primo soccorso.

Polemizzare è facile, al cospetto di una simile fatalità.

Ragionare a posteriori, lo è ancora di più.

Piuttosto, appare maggiormente sensato raccogliere la dura lezione impartita da questo tragico avvenimento e farne tesoro, per far sì che, in futuro, non dovremo trovarci ancora a commemorare altri Piermario Morosini.

Così come è utile e necessario dare un senso alla risposta della FIGC, al cospetto di questa morte: la sospensione di tutti i Campionati.

Quindi il silenzio, il rispetto, la commemorazione.

E’ innegabile, quanto accaduto ieri sul campo di Pescara, ha ammutolito tutti gli stadi, ma ha altresì calato un velo di silenzio e sconforto nelle vite di tutte le persone e personaggi, più o meno appartenenti al mondo del calcio.

La morte in quanto tale spaventa, sconcerta, destabilizza, sempre e comunque, in qualunque forma si manifesti.

Perchè è mistero, incertezza, buio, smarrimento.

E quando allunga le mani per portarsi via una figura terrena che nell’immaginario comune appartiene, come detto, al mondo degli “invincibili”, questo desta maggiore sgomento, impotenza, terrore.

Il modo migliore per onorare la memoria di Piermario, guerriero del calcio, è riempire questo silenzio con le parole, per esorcizzare la paura della morte.

Che i padri usino questa domenica di silenzio, nell’ambito della quale non potranno sedersi davanti alla tv per seguire le partite con i loro figli, per ascoltare questi ultimi, per parlargli, per spiegargli quello che alle loro giovani ed acerbe menti appare incomprensibile, senza inciampare nel timore di cadere nella banalità o di ritenersi incapaci, poiché non possessori delle doti oratorie consone per adempiere a questo scopo.

Che lo facciano gli allenatori e gli addetti ai lavori delle scuole calcio, delle piccole realtà provinciali che pullulano di pulcini che sognano di trasformarsi nei cigni del calcio di domani.

Che lo si faccia per cercare di redimere le teste calde che imprecano per la sosta del campionato, pensando alla mancata trasferta, piuttosto che al biglietto prenotato da rimborsare, spiegando loro il senso e il valore di questo silenzio.

Che lo facciano tutti, esternando pensieri, riflessioni e stati d’animo, attraverso musica, parole, urla, lacrime, sorrisi, disegni, social network, una chiacchierata con un amico davanti a un caffé, piuttosto che sporcando d’inchiostro le pagine del diario segreto.

In qualsiasi modo, avvalendosi di qualunque mezzo, purché si dia un valore a questo silenzio e un senso a questa scomparsa.

Che lo facciano i dottori, per impartire nozioni utili per educare e tranquillizzare gli atleti, ma anche le masse, riguardo l’importanza della prevenzione e del conseguimento di un regime di vita salubre.

Perchè, quanto accaduto a Morosini, potrebbe compromettere l’accezione di senso che finora si è sempre attribuita allo sport ed imprimere nelle anime degli atleti un fardello di timore, che può trasformarsi in un fattore di rischio controproducente e pericoloso, ai fini del consueto e sano espletamento della pratica sportiva stessa.

Praticare sport fa bene, aiuta a vivere meglio e contribuisce a conferire benessere al corpo, alla mente e all’anima.

Piermario lo ha dimostrato cercando di rialzarsi più volte, per continuare a giocare quella partita di calcio, nonostante fosse in corso la partita per eccellenza, la più importante in assoluto: quella della sua vita.

Ricordiamolo ai giovani, ai bambini, ai ragazzi, a noi stessi.

Concludo dedicando un pensiero a Morosini, rimasto orfano giovanissimo.

Pressappoco quindicenne, Piermario, infatti,  perde la madre Camilla e, a distanza di due anni, il padre Aldo.

Nel 2002 si suicida il fratello disabile, e, così, rimane solo con una sorella, anch’ella disabile….

La sua fidanzata, stamani si è recata all’obitorio per riconoscerne la salma.

Tra lacrime e disperazione, ha dichiarato: “era bellissimo, sembrava che sorridesse.”

Probabile che sia così perchè, quando si è accasciato per l’ultima volta su quel prato verde, senza alcun dubbio, si sarà trovato al cospetto dei suoi genitori che, prontamente, gli avranno teso la mano, per aiutarlo a rialzarsi e condurlo con loro in un posto in cui potrà coltivare in eterno la sua passione e, ogni volta che cadrà, troverà sempre la forza di rialzarsi, per ricominciare una nuova partita.

Luciana Esposito

Riproduzione Riservata

Articolo modificato 15 Apr 2012 - 13:35

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