Questa settimana, la rubrica SpazioRosa, si tinge di nero, per commemorare una “morte rosa”, l’ennesima avvenuta nel mondo dello sport, lo scorso sabato.
Infatti, oltre che nel calcio, anche nel mondo del volley si è riscontrata una prematura e spiacevole morte.
E’, appunto, deceduta, in seguito ad un arresto respiratorio, la venezuelana Veronica Gomez Carabali.
La pallavolista 27enne, giocava nel ruolo di schiacciatrice ed era il punto di forza della sua nazionale.
Quest’anno vestiva la maglia del Lokomotiv Baku, società pallavolistica femminile con sede a Baku, in Azerbaigian, militante nel massimo campionato azero.
Di recente, però, Veronica era rientrata in Venezuela, in seguito ad un infortunio al tendine d’Achille.
Ha giocato in diversi paesi del mondo tra cui: Russia, Belgio, Svizzera, Romania.
Il volley non ha lo stesso seguito del calcio. E’ assodato.
La morte di una donna, per giunta di colore, non desta scalpore.
Qualcuno ha polemicamente sottolineato, nelle ultime ore.
Considerazioni e valutazioni, queste ultime, che lasciamo addurre ad altri.
Una morte, soprattutto quando abbraccia e travolge una giovane vita, va sempre accompagnata con un doveroso momento di commemorazione.
Che sia un giorno, un minuto, un attimo, è relativo.
Che si tratti di un personaggio noto o del ragazzo della porta accanto, è altresì secondario.
La morte capita a tutti: neri, bianchi, atleti, cultori dell’ozio, uomini, donne, perfino ai bambini.
Proprio a tutti.
Di Veronica non si conosce altro, all’infuori della sua passione per lo sport, per il volley.
Era una abituata a picchiare forte quel pallone, il suo compito era imprimere alla sfera il maggior quantitativo di forza di cui disponeva, per eseguire il gesto atletico più spettacolare e rappresentativo del volley: la schiacciata.
Schema motorio complesso, quello da attuare per eseguire al meglio questo gesto atletico, che richiede la convivenza sinergica di molteplici componenti: potenza, coordinazione, astuzia.
Capacità notevolmente influenzate, tra l’altro, dalle caratteristiche fisiche e tecniche dell’atleta.
Non è un gesto dettato dalla casistica o dall’impulsività del momento, bensì, scaturisce da una serie di fasi ben precise: preparazione e ricerca della palla; rincorsa; stacco; fase aerea; colpo sulla palla; ricaduta, intorno alle quali un’atleta lavora ogni giorno, per tanti, tantissimi giorni che, inesorabilmente, si tramutano in anni, affinché divenga quel gesto atletico ammirevole, utile a conferire punti e ad esaltare il pubblico.
Pensare che una schiacciatrice di 27 anni, possa rimanere a corto di fiato, appare utopistico, surreale, incredibile, paradossale.
Eppure è accaduto.
La foto della Gomez che, nelle ultime ore, con maggiore frequenza viene riportata sulle varie testate giornalistiche e anche condivisa sul web per omaggiarne la memoria, raffigura la ragazza mentre indossa la divisa della sua squadra: una maglia nera su cui è inciso il suo numero, l’8.
Immagine che riporta alla mente “l’otto nero”: il gioco da biliardo più celebre, se non il più rinomato in assoluto.
Nell’ambito di questa disciplina, l’otto nero rappresenta l’ultima palla da indirizzare verso la buca, per aggiudicarsi la vittoria.
Regola non estendibile alla vita, purtroppo, non a quella della Gomez, almeno.
Non più.
Luciana Esposito
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