QUESTIONE DI BATTITI. Tachicardia sugli spalti, elettrocardiogramma piatto sul prato verde. Il Napoli è sceso in campo senza quella rabbia agonistica, quella voracità necessaria in un crocevia determinante per la stagione. In verità l’approccio non è stato male, anzi. Ci si è messa di mezzo la sfortuna, l’imprecisione e i limiti che riconosciamo da tempo a questa squadra. Il primo tempo, però, non si può discutere. La ripresa, è quella che ci ha lasciati inorriditi, è parsa scritta da un drammaturgo bielorusso. Una lenta e delirante agonia. Calciatore a zonzo in campo senza una meta, la panchina travolta dallo stesso vortice. Non è questo il Napoli che conosciamo. Quello che non muore mai, che ti lascia aggrappato alla tv perché tutto può accadere. Quello che l’anno scorso ha guadagnato 12 punti in più (almeno finora), molti dei quali barricandosi fino allo strenuo delle forze nell’area avversaria. Questo mordente non sembra più avere dimora tra le maglie azzurre. Quest’anno ogni qualvolta la gara prendeva una piega sbagliata, si è fatta un’enorme fatica a cambiare rotta. A parte Roma e Udine (favoriti nella fattispecie dalla superiorità numerica), la compagine partenopea si è spesso lasciata trascinare dagli eventi senza tentare di cambiarne il corso. E non è nella sua indole. Questione di battiti o di motivazioni? In tal caso impugnare la scopa e provvedere ad un po’ di “pulizia” sarebbe lecito. E qui il paragone padano, ahimè, ci sta tutto.
DOCCIA FREDDA. Non intendiamo solo la sensazione percepita dopo i due fendenti rossoblù al Dall’Ara. Parliamo di un rimedio terapeutico per il Napoli in occasione delle gare ad alto tasso emotivo. Troppo spesso gli uomini di Mazzarri soffrono eccessivamente la sindrome da grandi eventi. O meglio, vanno in bambola quando sono sotto pressione e sentono la responsabilità di dover rispondere “Presente!”. Si pensi all’affascinante cammino in Champions. Una squadra spregiudicata e sbarazzina, perché sapeva di non godere dei favori del pronostico e aveva la libertà mentale di esprimersi al meglio. Appena si è stretto il cerchio intorno agli azzurri, appena tutta l’Europa ne attendeva l’approdo agli ottavi, ha subito immediatamente il contraccolpo. Bloccati e nervosi nella gara thriller di Villareal, affanno indescrivibile, poi la magia risolutiva di Gokhan Inler. Stessa sequenza vissuta in seguito contro il Chelsea, la formazione vista al San Paolo solo una sorella lontana di quella terrorizzata di Londra. E in campionato questo atteggiamento è stato una costante. Dagli snodi cruciali contro Milan e Juventus, fino alla sfida pre-pasquale contro la Lazio. Nuova linfa a Cavani e compagni è stata iniettata dai passi falsi delle altre, ormai il Napoli aveva poco da perdere e magicamente ha ritrovato brio e risultati. Domenica scorso l’ennesimo scoglio da patema d’animo, l’ennesima debacle inattesa. Allora consigliamo una doccia ghiacciata prima della gara. Magari, appena asciugati poi, una spalmatina di maturità sarebbe l’ideale. Ma quella non si compra al mercato, si acquisisce solo giocando con costanza ad alti livelli. Prima, però, bisogna guadagnarseli. Non a caso, è come il gatto che si morde la coda.
Articolo modificato 8 Mag 2012 - 20:02