Il sabato, per tutti gli studenti, è un giorno diverso rispetto agli altri.
Il sabato è “lo sforzo conclusivo”, l’ultimo gradino che separa dovere e piacere, è il giorno in cui, tra quei banchi, si spera che il tempo passi più velocemente per sgattaiolare via dalle aule che impongono austera attenzione per dedicarsi al tanto atteso week end.
L’attesa e la gioia che accompagna e contraddistingue il sabato sera, una pizza, gli amici, i trucchi e i vestiti “speciali”, quelli che non vanno sprecati per la scuola, perchè meritano una passerella più illustre, come la piazza del paese o il bar, dove sai che incontri proprio tutti, il fidanzato o quel ragazzo che ti fa battere il cuore, la discoteca, per chi può concedersela: queste sono le tappe imprescindibili e fondamentali di cui è composta la vita di ogni adolescente.
Chissà come avrebbe trascorso il suo sabato sera Melissa Bassi, un’adolescente come tante, diventata “famosa” nel giro di pochi minuti, per il modo in cui la sua vita è stata brutalmente spezzata, un sabato mattina, profondamente diverso dagli altri, l’ennesimo sabato scolastico, che con la cultura e il senso civico non ha, però, alcun nesso logico.
Questo sabato, Melissa tra i banchi non c’è mai arrivata.
La sua vita si è fermata lì, fuori all’ istituto “Morvillo Falcone” di Brindisi, dove, insieme alla sua inseparabile amica Veronica Capodieci, si accingeva ad entrare in classe per continuare a coltivare il suo sogno di diventare una stilista, se solo un ordigno innescato dall’illogica e brutale ferocia di qualche diabolica mente, che di umano non ha nulla, non fosse esploso, sgretolando la sua vita e gettando noi tutti nell’agghiacciante consapevolezza che un “uomo” è capace di uccidere con orribile brutalità anche i suoi figli, privi di colpe.
Perchè, oggi, Melissa voleva e doveva solo andare a scuola.
Unico frutto dell’amore di un piastrellista e di una casalinga, Melissa era la principessa di casa: coccolata e amata dai genitori, definita un “angelo” dai suoi amici.
Quell’ordigno ha devastato una vita, ne ha deturpate molte altre, ha lacerato le anime di coloro nei quali vive ancora, almeno, un briciolo di umanità e ha sfigurato le altre adolescenti rimaste coinvolte nell’impatto.
Perchè un’ustione è un segno indelebile che sfigura il corpo ed umilia l’anima, capace di trasformare una creatura bellissima in un turpe mostro, un marchio che imprime la ferocia della cattiveria umana su un corpo innocente, incapace di difendersi, colpevole solo di essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
La chirurgia plastica può fare il suo corso per limitare i danni che riporteranno le sopravvissute ed attivarsi per ripulire quei volti dai segni della barbarie subite.
Osservazione futile, quest’ultima, secondo chi le etichetterà come “fortunate” per essere rimaste in vita.
Ma, per capire anche questo tragico aspetto di tale vicenda, si può solo provare ad immaginare di camminare per strada con un viso deturpato ed imbattersi in bambini che scoppiano in un pianto di terrore e genitori che non sanno fare altro che regalare sguardi impregnati di compassione e commiserazione.
Gli occhi, i tanti occhi puntati addosso, come fari abbaglianti proiettati su quella sciagura, riescono solo a far sentire “diverso” chi, in realtà, è “speciale”.
Chi non ha più un volto, trascorre le sue giornate chiedendosi se la chirurgia riuscirà a “far ritornare tutto come prima”, odia gli specchi, odia imbattersi negli sguardi altrui, odia quelle cicatrici, perchè urlano in ogni istante l’orrore subito.
Chiunque ha il potere e l’autorità per farlo, deve restituire un volto, un corpo e con loro la dignità di una vita normale alle vittime di questo scempio e, di contro, deve essere in grado, quanto prima, di mostrare al mondo intero la faccia di chi ha materialmente eseguito quest’attentato, affinché tutti possano conoscere “il vero volto del male.”
Luciana Esposito
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Articolo modificato 19 Mag 2012 - 21:40