L’Irlanda è la terra delle fiabe, il Nord Irlanda è la punta più alta di luoghi fantastici in cui nuvole e pianure viaggiano insieme verso orizzonti fatti di sogni e utopie.
Un sogno e un’utopia, com’è stata la vita e le gesta di uno tra i più grandi calciatori che abbiano mai calcato un rettangolo verde. Più che “tra i più grandi“, bisognerebbe dire tra i migliori, anzi, IL MIGLIORE: George Best.
Lissù, nello smeraldo che sorge dal Mar del Nord, tra possenti giocatori di rugby, nasceva un piccolo diamante dalle spalle strette, un genio, un’icona, una leggenda che ha sovrastato finanche le sue stesse magie in campo. George Best oggi è più di un semplice calciatore: è uno stile di vita, un voler dire no alle regole prescritte, uno stereotipo di ribellione e libertà.
Il quinto Beatle, prima di essere una bandiera del Manchester United, è stata una bandiera di speranza. Da quando è nato il 22 Maggio 1946, da quando ha iniziato a toccare un pallone tondo nella terra del pallone ovale, da quando ha iniziato a scriverne di poesie con quella palla sul foglio verde, fino a quando gli è stato detto che non avrebbe mai avuto successo perché troppo fragile per il calcio, passando per quando avrebbe distrutto moralmente questi ultimi arrivando a vincere un pallone d’oro nel 1968, quando si tolse la maglia durante una partita ufficiale e uscì dal campo, beffardo e fiero, per palesata superiorità nell’altrui confronti, per non parlare di tutti gli aforismi e degli abusi d’alcool, donne e macchine veloci, delle leggende nate sul suo conto, dei films, canzoni, t – shirt, libri, articoli, poesie, soprannomi, un aereoporto fatti in suo nome, fino al carcere e alla frase che poi lo portò alla tomba nel 2005: “Non fate come me“. Un ritiro dal calcio anticipato, una carriera breve in cui è solo trasparso il genio di un’enorme potenziale eclissato dal suo stesso genio fuori dal campo.
Oggi 22 Maggio 2012, all’anniversario della sua nascita, passano partite, si vincono coppe, arrivano sceicchi, c’è un fanatismo attorno al calcio come mai prima, questo sport è cambiato, ma per noi resta quello che aveva descritto lui molti anni fa: “Il calcio è miseri campi di allenamento, alimentazione orrenda, terreni di gioco fangosi, stadi gremiti, canzoni stupende, arcigni centromediani, centr’attacchi inarrestabili, allenatori per sempre nella stessa squadra, magliette senza sponsor, calci d’ inizio alle 3 del pomeriggio e dopo novanta minuti di tirare calci e prenderne, una birra scura in una vasca d’acqua sporca.“
Qualcuno dirà che avrebbe potuto dimostrare di più in campo, ma non ha forse fatto abbastanza? E poi, senza le sue pazzie non sarebbe potuto essere il migliore. Ha interpretato alla perfezione, sia in campo che fuori, quella voglia di vivere insita nell’animo umano e l’ha poi smerciata a quei troppi elementi che la attanagliano ogni giorno in favore della sicurezza. Ha corso con litri d’alcool nello stomaco per buttare un pallone in rete. Correva con la voglia e la rabbia di chi ha trovato in un oggetto il suo stesso essere, e nella finalizzazione in una rete che faccia esplodere milioni di persone, il suo scopo. Ha potuto farlo fino ai 25 anni finché voglia di vivere e possibilità di correre han retto all’unisono.
George morì all’età di 58 anni nel 2005 a causa di una cirrosi epatica, i tifosi dello United dedicarono a lui un ultimo commovente saluto all’Old Trafford. Milioni di tifosi di tutto il mondo conosciuto oggi brindano con te, alzando il calice al cielo, cercando la tua mano in una nuvola.
Pelè disse: “George Best è il più grande giocatore di tutti i tempi“, aveva ragione, perché tu sei sempre stato il migliore Georgie Boy, in campo o tra le righe d’un aforisma.
di Daniele Boccia alias Danièl Bol
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