Allora Ulivieri, come andò?
«Questo in verità non l’ho mai saputo, perché era quasi sempre infortunato. Praticamente non giocava mai».
Però fu allora che nacque il vostro buon rapporto.
«Già. Il fatto che stesse spesso fermo ci dava l’occasione di parlare molto. Discorsi di calcio. Voleva sapere. Capire. Si vedeva già allora che aveva sangue da allenatore».
Poi a Bologna insieme. E anche a Napoli.
«Dove, tutti e due da soli, senza famiglie al seguito, stavamo quasi sempre assieme».
Fu così che s’innamorò del suo 3-4-3?
«Già. Ma poi lui quel mio modello l’ha cambiato. Rivisitato, mutato, adeguato alle esigenze e alle caratteristiche dei suoi giocatori. Insomma, quel che oggi Mazzarri fa, è tutta farina del suo sacco».
Quindi, giudizio positivo.
«E come potrebbe essere il contrario. A Napoli, ancor più che altrove, Walter ha fatto e sta facendo cose straordinarie. Il suo progetto tattico è vincente e non ho difficoltà a dire che oggi è tra gli allenatori più decisivi della serie A».
Ma qual è la sua più grande qualità?
«Risposta complicata. Al di là dell’applicazione sul lavoro, direi la sua capacità di tenere sempre altissima la concentrazione della squadra e di ottenere sempre il massimo dai suoi giocatori. Un esempio? Cavani. Non è forse anche merito di Mazzarri l’esplosione di quest’attaccante. Ha capito le potenzialità del giocatore, le ha assecondate e le ha sfruttate».
Difetti. Una critica che gli viene mossa riguarda la rigidità del suo pensiero tattico.
«E’ una sciocchezza. Una di quelle storie alle quali si finisce per credere solo perché ripetute spesso. Ma non è così: Mazzarri, infatti, cambia spesso. Non è forse vero che, tatticamente, non finisce mai una partita così come l’aveva cominciata?
fonte: Corriere dello Sport