Quando una giornata di campionato finisce, le radio raccontano delle partite, magari ascoltate durante il ritorno a casa, segnato dai commenti e dalle interviste, dai risultati e dalle statistiche. Un tabellino vocale sviscera i numeri degli incontri e fa l’elenco delle botte date e delle botte prese. Le televisioni ripetono fino alla noia sempre le stesse notizie, le moviole si sforzano di separare il provvedimento in buona fede da quello della malafede che non si può dire ma solo pensare. Fino a notte fonda, sbiadendo per durata e attenzione, i servizi televisivi si riducono a una svogliata e rapida rassegna stampa notturna, che l’indomani si sveglierà tra ripetuti commenti e soste al bar.
Si esaurisce così, la parabola domenicale della disputa calcistica. Copre tutto il fine settimana, facendo sì che la domenica si faccia prestare dal sabato mezza giornata, durando in una maratona di fischi di inizio e triplici dichiarazioni di resa, la rassegna di un turno che non si priva nemmeno di un’inezia, e senza nascondere neanche un’azione, fornisce il più dettagliato dei dossier. Un calcio radiografato, dominato dal doppio turno, perfettamente allineato alle logiche di mercato e ai nuovi statuti dei lavoratori.
Quando il calcio non colonizzava alla nausea le occupazioni mediatiche, tutto si riassumeva nell’attesa della domenica mattina fino al Novantesimo minuto di Paolo Valenti, dopo il quale il pensiero del ritorno alle fatiche settimanali tormentava il tifoso che riusciva a distrarsi con le poche trasmissioni televisive di approfondimento. Ma restava un sapore amaro, un tratto di delusione sbucava all’improvviso, una volta soddisfatta la curiosità del gol e dell’azione principe della giornata. Che fosse amarezza e svogliatezza della domenica serale, o insoddisfazione, è un’ipotesi da periferia industriale, da nebbiosa strada di campagna che conduce a severe e monolitiche fattorie. È la statale dove finiscono per ripetere sempre la stessa malinconica fatica, gli autisti, i lavoratori e gli studenti fuori sede.
Proprio una statale secondaria custodisce il segreto della tragica storia di un calciatore. Segreto che mai si è saputo se fosse tale o una suggestione collettiva. Un segreto dentro a un segreto, come si conviene a quell’Italia anni ‘Ottanta così avida di rivelazioni, che fu una dama nera, madre di questa Italia che fa fatica pure a inscenare complotti.
Il 18 novembre del 1989, sulla statale Jonica 106, nei pressi di Roseto Capo Spulico, viene trovato morto il ventisettenne Donato Bergamini, calciatore del Cosenza. La versione ufficiale dei fatti, sostiene che Donato si sia suicidato, sotto gli occhi della fidanzata Isabella, lasciandosi trascinare da un tir, per60 metri, lungo un tratto di strada della statale.
Donato Bergamini, nato ad Argenta, vicino Ferrara, esordisce nel 1982, con la maglia dell’Imola. Poi, dopo brevi esperienze in categorie minori, viene acquistato, nel 1985, dal Cosenza Calcio, squadra militante nell’allora serie C1. Tre anni dopo, il Cosenza, allenato da Gianni Di Marzio, vince il campionato e conquista la promozione in serie B. Bergamini disputa 32 delle 34 partite di quella stagione.
L’anno successivo, in B, Bergamini, a causa di un serio infortunio, gioca più o meno la metà del campionato, e a fine annata il Parma cerca di acquistarlo, senza però riuscire a sottrarlo al Cosenza che lo dichiara incedibile, confermandolo per quella che sarà la sua ultima stagione. L’ultima partita della sua carriera, Donato Bergamini la gioca il 12 novembre del 1989. Monza-Cosenza 1-1. Per i cosentini va a segno Michele Padovano, calciatore che sarà del Napoli e della Juventus. Proprio Padovano, grande amico di Donato, la domenica successiva, il giorno dopo la scomparsa di Bergamini, dedicherà al suo compagno il gol segnato nella gara vittoriosa col Messina.
La figura di Michele Padovano tornerà, dopo anni, a farsi viva tra le more offuscate di un incidente passato alle cronache come un fatto mai del tutto chiarito. In un’intervista, Carlo Petrini, che ha svolto a lungo indagini sull’oscura scomparsa di Bergamini, ha dichiarato che Michele Padovano, durante un’intervista registrata dallo stesso Petrini, appena interrogato su Donato, si fece consegnare il registratore senza più restituirlo, e senza rivelare le ragioni di quel gesto.
Al momento dell’incidente, che secondo le indagini Bergamini avrebbe causato per procurarsi la morte, la strada era ricoperta di fango, e il corpo del giovane atleta venne ritrovato completamente pulito, senza che le condizioni in cui si trovava lasciassero intendere la dinamica imposta dagli organi d’indagine. Inoltre, pare che lo stesso interrogatorio alla fidanzata di Donato, la ventenne Isabella Internò, fosse viziato, all’epoca, da alcune dichiarazioni contraddittorie. Anche l’autista del camion, Raffele Pisano, confermò il gesto deliberato e improvviso del giovane Donato, gettatosi sotto le ruote dell’autotreno dopo aver arrestato la sua Macerati ed essersi lanciato dalla sua auto.
Numerose circostanze incongruenti e molti indizi evidenti, lasciano facilmente intuire che la versione del suicidio sia poco attendibile. Intorno a questa misteriosa vicenda da sempre tira un’aria omertosa, e timorosa di fornire informazioni utili a supporre ipotesi più verosimili. Pare che, durante la sua permanenza a Cosenza, Donato si accompagnasse spesso a personaggi noti alle forze dell’ordine, a pregiudicati, a soggetti probabilmente prossimi ad ambienti criminali. Chi lo conosceva, non ha esitato a sottolineare quanto egli fosse preoccupato e incupito nelle settimane che hanno preceduto la sua morte, e di come fosse diventata tormentata la sua relazione con Isabella.
Le indagini svolte non daranno pace al padre, che in un’intervista, anni dopo, dirà che niente di quanto raccolto dall’attività investigativa potesse dimostrare, anche lontanamente, l’ipotesi del suicidio. Carlo Petrini, che dedicherà a Bergamini il libro “Il calciatore suicidato” prodotto dalla Kaos edizioni, ha detto: “Donato Bergamini mi ha insegnato che quello che è scritto nei tribunali, La giustizia è uguale per tutti, non è vero, non è vero per niente. Donato Bergamini di giustizia non ne ha avuta. E, probabilmente, non ne avrà mai.”
Sono state fatte numerose ipotesi sulla vicenda di Donato Bergamini, sui rapporti che intratteneva con loschi individui, sulla sua morte, sulla versione del suicidio poco convincente, sul fatto che fosse da tutti conosciuto come un ragazzo perbene, sempre generoso e gioviale. Calcio scommesse, relazioni con la malavita e altre possibilità, alcune attendibili e altre meno, hanno fatto da contorno al mistero Bergamini. Molte iniziative di impegno civile e sportivo hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica su uno dei casi irrisolti dello sport e della cronaca italiana.
Il 22 febbraio del 2012, i RIS di Messina hanno depositato una perizia presso la Procura di Castrovillari. Secondo le nuove indagini, approfonditi esami e ripetute simulazioni, la versione di Isabella Internò sarebbe poco attendibile, viste le conseguenze che il corpo di Donato avrebbe dovuto subire se davvero si fosse catapultato fuori dalla sua macchina gettandosi sotto il camion. I segni sul corpo di Donato Bergamini, sulle sue scarpe, sui vestiti e su quello che aveva addosso, lasciano invece supporre, secondo riscontri diversi, già ipotizzati negli anni ‘Novanta e confermati dalle verifiche in corso, segni di evirazione. Il decesso sarebbe avvenuto per dissanguamento a seguito di ferite probabilmente riportate da cause diverse.
Anche il calcio fa così. Fornisce soltanto i particolari di intrattenimento. Le cose serie le racconta a metà. Regala statistiche, sviscera le moviole, assomma filmati e dichiarazioni, ma non testimonia su se stesso. La verità su Donato Bergamini non è ancora nota, e nessuno può dire con certezza se essa emergerà un giorno, deludente o clamorosa. Ma la verità non è deludente, ancor meno clamorosa. La verità è una realizzazione netta e indipendente nella realtà dei fatti. Somiglia alla morte e come la morte è invisa alle approssimazioni umane. Chi sia stato realmente Donato Bergamini, da quali preoccupazioni sia stato angosciato, e di quali dinamiche sia stato vittima, adesso, non è possibile dirlo.
Come lui, molti altri oggi non godono di memoria trasparente. Nel bene e nel male sono figure perdute in un limbo ipotetico, colpite dal destino che consegna a oscuri enigmi la fine di un uomo.
Il calcio, e ogni altra espressione umana votata alla ludica e passionale realizzazione personale e collettiva, possono calarsi nelle voragini dell’inconfessabile? Non credo che per questo bastino le arti e le discipline, sia pur le più nobili. Diceva il poeta Walt Whitman: “Tutte le verità sono in attesa in tutte le cose”. Forse la verità non esiste, ma la morte sì. Ed è quanto accaduto a Donato Bergamini. Spogliandoci di ogni relativa necessità di comprenderne le ragioni, si potrebbe dire che il giovane calciatore romagnolo abbia avuto la morte anzitempo e non abbia ricevuto la verità dopo. La morte è stata la sua giovinezza e il segreto menzognero la sua vecchiaia. Quanto basta, come azzardo del destino.
sebastiano di paolo, alias elio goka