E così te ne sei andato. È ufficiale. Si sapeva da tempo ma, in fondo, un po’ tutti speravano si sbagliarci. Nessuno voleva credere che quella, all’Olimpico di Roma, sarebbe stata la tua ultima partita con la maglia azzurra sulle spalle. Nessuno. Te ne vai a Parigi, oltre le Alpi, oltre il confine, oltre l’immaginario azzurro. È così te ne vai. È difficile raccontare questo momento. Forse molti, in città, in un primo istante non ci crederanno. “No è impossibile! Non è ancora deciso niente.” E invece sì.
Di te ci mancheranno i dribbling che invocavamo ad ogni giocata, gli scatti fulminei che ci facevano sperare in ogni momento. Di te ci mancherà la fantasia, il genio che ha risolto tante partite, quell’attimo di follia che abbatteva il muro degli avversari. Di te ci mancherà la sregolatezza, quell’egoismo che tante e troppe volte ci ha fatto imprecare, quella precisione sotto porta che spesso mancava. Di te resterà la consapevolezza che eri uno di noi.
I bambini continueranno a giocare con la tua maglia addosso, continueranno a correre per i campi improvvisati della città imitando i tuoi lampi d’eccesso e gridando il tuo nome. Forse qualcuno ti chiamerà traditore. Dirà che te ne sei andato per soldi, perché ti eri stufato di tanta celebrità, di troppa pressione. È la vita. Va così. Non ci fare caso. Forse era giusto così. Era giusto salutarci durante un trionfo, con le lacrime agli occhi. Quando il tuo numero è comparso sul tabellone luminoso eravamo ancora sull’1-0. Era un cambio strano, forse anticipato. In quel momento ti sei girato. Tutti gli occhi erano su di te e i tuoi occhi erano su tutto intorno. L’abbiamo capito in quel momento, da quei passi quasi timorosi di lasciare un prato verde con una maglia azzurra indosso. Da quelle lacrime nascoste male. In quel momento, anche se nessuno voleva ammetterlo, sapevamo che era finita. E forse è giusto così. È giusto essersi lasciati con la vittoria. Quell’immagine di te sotto la curva rimarrà stampata sul nostro cuore. È il suggello, fin troppo perfetto, di un legame tra uno scugnizzo argentino e la sua città adottiva. L’ennesimo. Non te la prendere con chi ti dirà male. È solo la rabbia di chi non riesce ancora a crederci.
Qualcuno continuerà a seguirti, magari imparerà il nome delle squadre francesi. Qualcuno ci rimarrà talmente male da spegnere il televisore per non sentire la notizia. Qualcuno sorriderà pensando alle grida che hanno accompagnato le tue giocate. E perdonaci se siamo esagerati anche negli addii. Siamo così. E tu sembravi tanto uno di noi.
Adieu Pocho
Raffaele Nappi