E l’ha giocata, Mahmoud Sarsak, la sua partita lunghissima, tra le alte mura di un carcere israeliano, nei suoi tre anni di discussa e logorante prigionia e con lo sciopero della fame lungo tre mesi, gli ultimi di una tortura giudiziaria non del tutto compresa, reclusa in una cella che sembra aver avuto più il sapore amaro della rappresaglia politica piuttosto che di una procedura di diritto penale.
La resistenza di Sarsak nel suo estenuante sciopero della fame, è stata la sua azione personale, la sua discesa verso la porta. Sarsak ha preso palla davanti alla sua difesa e ha sfidato la compagine avversaria, dribblando in una corsa di novanta giorni tutti i suoi avversari, superando come birilli la difesa e il portiere, e, depositata la palla nella rete, si è lasciato cadere per la fatica e gli stenti di prigioniero capace di uscire dalle pareti della sua cella per il solo fatto di essere lì. Un prigioniero libero, questa è stata la sua magia. Da fermo, da imprigionato, al buio delle sue sbarre, il giovane talento palestinese non ha mai smesso di fare quello per cui prima di tutto si nasce. L’uomo.
Ricordate il filmato di Maradona che palleggia con il mondo? E, prima ancora, Charlot che nel Grande dittatore danza e gioca con un grosso pallone gonfiabile che rappresenta il pianeta? Ecco, Sarsak ha fatto questo. Senza saperlo, ha avuto il mondo tra le mani, l’ha messo giù e con la grazia del campione l’ha calciato lontano, mirando laddove niente potesse fermare la sua parabola di libertà.
Adesso, dopo che il giovane Mahmoud è sceso dal pullman che lo ha condotto all’ospedale di Shifa, a Gaza, a casa sua, in mezzo a una folla festante, quasi incredula di aver rivisto vivo il suo giovane campione, avrà probabilmente inizio la sottile rassegna delle ipotesi che arricchiscono il corredo della polemica. È vero, per Sarsak si è mossa la FIFA, si sono adoperati avvocati e autorità internazionali, grandi calciatori e molte associazioni, ed è anche vero che nelle carceri israeliane molti suoi concittadini non godono della stessa attenzione. Il silenzio di Israele è il silenzio del potere, ma nella Jihad il potere sa essere trasversale, attraverso le sue trame ignote e misteriose.
L’azione di Sarsak no, la sua prodezza, in qualche modo – e speriamo sia stato così – ha tirato dritto, senza indugi e ripensamenti, e dentro gli occhi, solo l’abbraccio popolare della folla in attesa di rivederlo, di salutarlo, di esultare al suo goal arrivato dopo una giocata lunga tre mesi in una partita durata tre anni.
sebastiano di paolo, alias elio goka
immagine da www.today.it
io goka
Articolo modificato 11 Lug 2012 - 20:57