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Diaspora. Investimenti stranieri, spettatori, tanti, troppi top player. Quanti addii al campionato di serie A. Aspetti concatenati di un intero movimento che cade a pezzi. Le società sono al verde, i tifosi allibiti. Ma perchè bisogna sempre piangere sul latte versato?  Perchè in Italia deve sempre venir giù la domus dei gladiatori di Pompei per avviare un processo di restaurazione? Perchè ci si accorge di costruzioni che violano le norme anti-sismiche solo in seguito ad un terremoto? Con le dovute proporzioni, nel calcio l’evento sismico indossa la kefiah e profuma di petroldollari. Gli arabi saccheggiano il nostro torneo, ma ben vengano. Magari rappresentano la scintilla che scatenerà il mea culpa di club e istituzioni sulle malefatte degli ultimi 15 anni, capaci di trasformare un campionato illustre e agguerrito nella manifestazione di beneficenza  “La Juventus e le sue sorelle minori”. Già la Juventus, purtroppo. E’ dura ammetterlo, ma dopo le catastrofi di inizio millennio ha saputo risollevarsi. Lo stadio di proprietà e la salvaguardia dei calciatori made in Italy sono modelli da imitare, generatori di una plusvalenza che l’ha resa regina del mercato italiano (comunque di basso profilo). Ma il Napoli ha intrapreso la via maestra. De Laurentiis ha l’occhio lungo, il rigore sulle casse societarie è un colpo in prospettiva. La questione stadio è un suo eterno cruccio, come quello di rivalutare i giovani. Curiosi di sapere come gestirà il tesoretto di 68 milioni racimolato dagli introiti della Champions sommati alla cessione di Lavezzi. La strada è ancora lunga, ma le premesse del grande salto ci sono tutte.

STADI FANTASMA. “Perchè uno sceicco non compra la mia squadra del cuore?”. Se lo domandano un po’ tutti gli appassionati. Allo stato attuale, pensare ad un’operazione simile è pura utopia. L’Italia ha molte crepe nel campo delle agevolazioni fiscali e della pubblica amministrazione, gli investitori esteri si lanciano ovviamente su Paesi che offrono condizioni più vantaggiose. Manca una legge sugli stadi, anche se il ministro Gnudi sembra la stia approntando. Intanto le nostre strutture sono fatiscenti e poco funzionali. Se le società fossero proprietarie dei propri impianti potrebbero trasformarli in autentici poli d’attrazione sul piano commerciale e dell’intrattenimento, con ingenti guadagni. Questa perenne obsolescenza è tra le principali cause del crollo degli spettatori. Meno 7,3% di affluenza nella stagione 2011/2012 è un dato allarmante e in controtendenza con il resto d’Europa. Il “vecchietto” San Paolo, da molti definito “un morto che cammina“, regge al peso della crisi. Solo -12% in meno rispetto all’annata precedente (si pensi che l’Inter ha fatto registrare un corposo -25%), con incassi oltretutto elevati. Ma a Napoli è la passione a travalicare ogni disservizio. Proprio con la stessa passione il patron azzurro si sta dedicando ad un’estenuante trattativa con il Comune per trovare nuove soluzioni, conoscendo quale sarebbe il rendiconto economico. Braccio di ferro con l’Amministrazione che punta ad un nuovo impianto nell’hinterland cittadino, il presidente non si smuove: vuole riqualificare il San Paolo. Urge un lido sicuro dove approdare in fretta per fronteggiare la tempesta finanziaria e d’identità che il calcio italiano sta attraversando.

FIAMMELLE. Spazio al nuovo che avanza. Una discussione atavica nel nostro Paese ma che riproponiamo con forza e a maggior ragione dopo le ultime vicende. In ogni periodo di crisi le prime vittime sono sempre i giovani, ma sono altresì l’innesco della bomba dell’innovazione. In serie A non ci sono più soldi, è vero. Ma le risorse dilapidate senza alcuna visione prospettica? La valorizzazione del settore giovanile è sempre più un tema da campagna elettorale, tanto proclamato e mai concretizzato. Un errore di sistema. L’italiano medio storce il naso se all’Europeo ci rappresenta l'”ItalJuve. Invece di lamentarsi, non sarebbe più fruttuoso dare un occhio al proprio giardino? Gli ex paperoni del nord litigano sul 21enne Mattia Destro, questa rincorsa melodrammatica preoccupa e, allo stesso tempo, produce un sorriso. I club spendono pochissimo per i propri vivai, i ragazzotti della cantera su cui puntare per il futuro o venderli per ottenere elevati surplus economici possiamo ammirarli solo in tv. Alcuni approdano anche in prima squadra, utili solo a testare l’ergonomia dei sedili di panchine e tribune. Ah dimenticavo, l’Italia è per antonomasia un “Paese per vecchi” e anche il suo massimo torneo di calcio deve vantare il triste primato dell’età media superiore di tutto il continente. I piccoli  grandi fenomeni espatriano, all’estero si affermano e poi “ciao ciao” mia cara Italia perchè in Inghilterra si vive meglio, la Liga è più competitiva e bla bla bla. Un circolo vizioso. Manca, ad onor del vero, una precisa regolamentazione al nostro settore giovanile: i club stranieri possono appropriarsi dei nostri “prodotti” pagando solo l’indennizzo di formazione. In barba a tutto questo, onore al merito per Aurelio De Laurentiis di voler invertire questa tragica rotta dall’inizio della sua avventura azzurra. Le squadre minori godono della dovuta tutela e sono premiate dai risultati. Quest’anno la sterzata pare ancor più convinta. Riscattati interamente  Dezi e Bariti, un talentino napoletano elemosina sogni nel ritiro di Dimaro. Se Insigne ha la stoffa del campioncino perchè sballottarlo in giro e stimolare in lui una repulsione verso la terra natia che non ha riposto fiducia nelle sue qualità? Certo Napoli è una piazza difficile, una predatrice affamata che vuole tutto e subito, un’amante focosa e sfuggente. Deve imparare ad attendere, a guardare oltre il palmo della mano, a saper accarezzare i propri figli anche se c’è un’insufficienza in pagella. Riscatto ai piedi dei giovani, questa è la nostra scelta. I soldi, alla lunga, non fanno la felicità. Napoli replica con le sue carte migliori, ingegno e fantasia.

Articolo modificato 15 Lug 2012 - 19:58