Diceva Paul Valéry, “Un uomo solo è sempre in cattiva compagnia”.
Agostino Di Bartolomei è stato un calciatore italiano che, negli anni ‘70 e ‘80, ha militato nella Roma, nel Milan e poi nella Salernitana. Nella Roma di Nils Liedholm disputò le sue stagioni più esaltanti, conquistando uno Scudetto e tre Coppe Italia. Di Bartolomei giocò a lungo come mediano atipico, davanti alla difesa, un ruolo assegnatogli dall’intelligenza tattica del “Barone” Liedholm. Con la maglia giallorossa collezionò più di trecento presenze, segnando oltre sessanta goal e conquistando presto la fascia di capitano, insieme alla stima e all’affetto dei tifosi.
Quando, nel 1987, con l’arrivo di Sven Goran Eriksson, Di Bartolomei fu ceduto al Milan, la curva sud, storico avamposto degli ultrà romanisti, gli tributò un caloroso e sentito omaggio, dedicandogli uno degli striscioni più significativi della storia del tifo romano. “Ti hanno tolto la Roma, ma non la tua curva”.
Nel Milan giocò tre campionati, prima di essere nuovamente ceduto al Cesena, con l’arrivo di Arrigo Sacchi. Ad Agostino succedeva sempre così. Sembrò una costante della sua grande carriera. Uomo di carisma dentro e fuori dal campo, Di Bartolomei veniva venduto ad un’altra squadra quando, dopo aver sempre assicurato prestazioni notevoli, un nuovo allenatore subentrava a quello che invece gli aveva dato fiducia. A dispetto di questi aneddoti ricorrenti, la moglie ha sempre smentito che l’arrivo di Eriksson alla Roma avesse in qualche modo determinato il trasferimento di Agostino al Milan. Piuttosto, i piani dell’allora presidente Viola avevano spinto il capitolino a cambiare squadra.
Il più grande dolore sportivo dello storico capitano della Roma degli anni ‘80, fu la finale di Coppa dei Campioni perduta all’Olimpico dopo i calci di rigore. Il mediano giallorosso mai dimenticò quella notte del 30 maggio 1984, quando, davanti al suo pubblico, vide sfumare il più importante trofeo europeo per club a vantaggio del Liverpool di Souness e Rush. Agostino Di Bartolomei concluse la sua carriera calcistica nella Salernitana, contribuendo in misura determinante alla sua promozione in B, attesa per quasi trent’anni. Dopo un’esperienza televisiva come commentatore del Mondiale in Italia nel 1990, Di Bartolomei si allontana definitivamente dal calcio.
Dopo quattro anni, in un giorno di maggio del 1994, Agostino lascia un biglietto con su scritto “Mi sento chiuso in un buco”. Lo scrive prima di spararsi nel petto un colpo di pistola. È il 30 maggio del 1994. Lo stesso giorno della sconfitta con il Liverpool. In località San Marco, frazione del Comune di Castellabate, vicino Salerno, Agostino Di Bartolomei decide di togliersi la vita. Le ragioni del suo gesto non saranno chiare. Nessuno potrà dire con certezza quali siano stati i motivi di un gesto estremo avvenuto, ironia della sorte, in una data per lui così significativa.
L’ipotesi più attendibile è che Agostino fosse preoccupato per ragioni economiche, a causa di investimenti finiti male e di prestiti rifiutati. Ma soprattutto, pare probabile l’eventualità che l’ex calciatore italiano si sentisse da tempo solo e abbandonato da tutti, da un ambiente, quello calcistico, che tanto aveva beneficiato del suo talento ma che poi aveva completamente dimenticato. Lo stesso Agostino si era sempre distinto per una personalità semplice e di grande umiltà, alla quale, forse, sarebbe bastato dedicare un po’ più di attenzione, soprattutto nel momento del suo bisogno, così discretamente serbato. Interessato ai libri e all’arte, Agostino amava trascorrere il suo tempo libero nelle pinacoteche e nelle librerie, oltre al piacere di tante serate con gli amici più affezionati. Di Bartolomei aveva un’idea essenziale anche del calcio. Una volta disse, “Si ammira sempre la semplicità con la quale un grande campione rende facili le cose anche più complicate”.
Alla sua storia, il regista Francesco Del Grosso ha dedicato il film documentario “Undici metri” proiettato al Festival Internazionale del Cinema di Roma. Alla sua figura, Paolo Sorrentino si è ispirato per il protagonista, Antonio Pisapia, della sua celebre pellicola “L’uomo in più”. Giovanni Bianconi e Andrea Salerno, nel 2010, gli hanno dedicato il libro “L’ultima partita”, con una prefazione con cui Luca Di Bartolomei, figlio di Agostino, ha scritto una lettera al padre. Antonello Venditti, celebre cantautore italiano tifoso della Roma, ha scritto e cantato per Agostino la canzone “Tradimento e perdono”, del 2007, polemizzando proprio sull’emarginazione del campione dimenticato.
Pasolini una volta ha scritto che “Per amare la solitudine bisogna essere molto forti”. A giudicare dagli epiloghi che essa riserva, si potrebbe pensare che la sua compagnia è una guida all’annientamento, comunque vada e per qualsiasi ragione la sorte ad essa conduca.
sebastiano di paolo, alias elio goka