E’ giunta la vigilia di una nuova partita.
Ad introdurla, accompgnarla e contraddistinguerla giungono puntuali quelle peculiarità intrise di emozioni, indiscrezioni, notizie che concorrono a classificare come “unico” l’avvenimento.
E’ l’alba di Napoli che si fonde con il tramonto di Pechino, città ideologicamente e geograficamente lontane, ma mai così vicine nell’immaginario collettivo di un popolo che vive con il fiato sospeso e gli occhi puntati verso l’Oriente in attesa del fischio che sancirà il via alle ostilità tra Juventus e Napoli.
Già, ancora una volta, tra il Napoli e la gloria, si interpone la “vecchia signora“, riproponendo così “l’eterna sfida“, “la partita infinita“, quella che si protrae per ben oltre 90 minuti , quella che imprime un valore diverso ad ogni singolo calcio impartito al pallone, quella che contrappone due ideali radicalmente diversi, capaci di incarnare la storia ed il folkrore di due popoli distanti, tanto, troppo distanti.
Nonostante gli Appennini si diramino lungo lo stivale, come una leggiadra, ma sontuosa corda, saldamente ancorata alle imponenti e cocciute Alpi, vogliano, in un certo qualmodo, imprimere ed imporre un segno di continuità e congiunzione allo stivale, i suoi figli non si sono rivelati capaci di raccogliere nè carpire il messaggio intriso in quel disegno partorito dall’acuta mano di madre natura.
Così nasce quella secolare e longeva miscela di sfottò e reciproca intolleranza che, inevitabilemente si riversa nel calcio e che, in sfide come questa, si erge a condimento imprescindibile non solo del match, ma dell’intero clima pre-partita.
Non so che aria tiri a Torino prima di una partita, o meglio, prima di questa partita.
L’avversario è pur sempre il Napoli e in palio c’è pur sempre una coppa.
Però, so ben dire come Napoli vive l’attesa legata ad una partita, qualsiasi essa sia.
Ma sento di poter affermare, senza alcun indugio, che questa per Napoli non è una partita, è “quella partita” e in palio c’è pur sempre una coppa.
Pensare di poter spiegare, avvalendosi delle parole, come Napoli vive il Napoli, è un atto irrisorio, velleitario, avulso da qualunque logica, utile a condurre lo spavaldo narratore verso un ripido sentiero che conduce verso un’unica direzione, quella della vana sconfitta, la medesima nella quale si imbatterebbe chi possa addentrarsi nell’infausto compito di voler descrivere la magnificenza del golfo di Napoli ad un cieco.
Napoli non è una città, ma uno uno stato d’animo contraddistinto da infinite sfumature di sapori, odori, suoni, colori, emozioni.
E il Napoli è la corda più vibrante del mandolino di Napoli.
Organizzare le proprie vacanze in funzione delle partite degli azzurri, lasciare che sia il calendario del Campionato piuttosto che quello della competizione europea di turno a scandire i ritmi della quotidianità, consentire ai ritmi di gioco di cadenzare i battiti del cuore, piangere, imprecare, esultare fino a perdere la voce, scagliarsi contro tutto e tutti, pur di difendere la squadra.
Sono tutti atti leciti, normali, spontanei, insiti nell’ideologia di ogni degno rappresentante di questa stirpe ed imposti da una regola ben codificata in tutti i DNA azzurri.
Per Napoli, il Napoli è un culto, una religione, un sentimento, una passione, un legame, un’ideale, un amore, il primo, il più grande, quello che ti irradia il petto e che ti accompagna per tutta la vita. E anche oltre.
Per Napoli non conta vincere.
Lo dimostra lo stoicismo sviscerato negli anni bui, quelli in cui la parola “vittoria” era un tabù e il Napoli era umiliato in lungo e in largo su tutti i campi d’Italia, ma, ciò nonostante, Napoli e la sua gente sono rimasti lì, anche se rimanere lì era sinonimo di sofferenza, mortificazione, delusione, rabbia, smarrimento, avvilimento.
Per Napoli non contano neanche i calciatori che, di volta in volta, sono chiamati a scendere in campo, dimostrandosi interpreti più o meno adeguati, più o meno capaci di incarnare quell’ideale e di ripagare sul campo quell’incondizionato e smisurato amore.
Per Napoli conta solo la maglia.
Questa è la peculiarità che rende unico il tifo partenopeo.
Quella maglia per Napoli è sinonimo di vita.
Vincere o perdere ha pressochè lo stesso valore per Napoli, a patto che coloro i quali sono chiamati ad indossare la maglia azzurra, ne comprendano il valore, ne onorino la storia, sappiano far tesoro della carica emotiva di cui quella maglia è intrisa e la bagnino con il sudore partorito dalla leale, combattiva, insaziabile ed inalienabile fame di vittoria.
Negli ultimi anni, Napoli ha rispolverato dal cassetto dei ricordi, un vecchio significato da imprimere in quella maglia.
Per Napoli quella maglia, adesso, odora di rivalsa, sprigiona brama di rivincita, urla il desiderio di rivendicazione sociale di un popolo incessantemente provocato ed insultato e che adesso è nuovamente capace di leggere negli occhi dei suoi guerrieri, la voglia di far ridere a crepapelle il Vesuvio, allorquando rimane strozzato in gola al nemico quell’odioso e grottesco coro che lo intima ad irrompere sui suoi figli.
Napoli guarda verso Pechino con il desiderio di imbrattare un altro brandello di quella maglia, con un nuovo marchio che svisceri un’inedita espressione di quell’ indescrivibile amore.
Luciana Esposito
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