A sipario chiuso il pensiero degli organizzatori cinesi potrebbe essere stato più o meno il seguente: “Ma chi ce l’ha fatto fare?”. I 65 mila spettatori del Nido d’Uccello e il crescente seguito di investitori hanno mitigato la delusione, senza però cancellarla del tutto. Perché la mancata partecipazione del Napoli alla premiazione è stata soltanto l’ultimo “incidente” di un percorso a ostacoli che avrebbe sfiancato chiunque. Basti pensare al balletto sull’opportunità o meno di giocare la Supercoppa in Cina: l’11 giugno, a due mesi dall’evento, il sì ufficiale da parte della Lega, dopo i dubbi della Juventus e la smania del Napoli. Poi a fine luglio, qualche giorno prima della partenza per Pechino, il clamoroso dietrofront di De Laurentiis, indispettito perché era saltata la collaterale tournée e pronto a sollevare dubbi sull’efficienza della macchina organizzativa, che in realtà stava procedendo senza intoppi.
Alla fine la Supercoppa è sbarcata lo stesso in Estremo Oriente, ma che faticaccia. I cinesi, tuttavia, ritengono che ne sia valsa la pena, che da quelle parti il calcio italiano riscuota un interesse da sfruttare, che il rapporto instaurato ormai diversi anni fa con la Lega di A debba andare avanti. Beretta, Brunelli e Wang Hui si sono lasciati con la promessa di rivedersi a settembre in Italia: la United Vansen International — che è anche in trattativa con Bundesliga e Liga— vorrebbe rinnovare il contratto per organizzare la Supercoppa in Cina per altre tre edizioni (oltre a quella già prevista tra il 2013 e il 2014) e imbastire in inverno dei road show sul calcio italiano.
La figuraccia, davanti peraltro all’ambasciatore italiano a Pechino, è stata di una società, non dell’intero movimento. Per dire, la Juventus è tornata a casa con feedback positivi: dal calore dei tifosi locali alle iniziative commerciali gestite con Nike e Jeep. Piccoli mattoni necessari per aumentare l’appeal del marchio e, di conseguenza, la competitività del club.
Fonte: La Gazzetta dello Sport