“Mo glie faccio er cucchiaio“. Avrà pensato questo, forse con un’inflessione meno dialettale, il giovane brasiliano Maicosuel martedì sera. Un suo lob maldestro dal dischetto, emulazione troppo sbiadita di intenditori come Totti e Pirlo, ha sbattuto fuori dalla Champions l’Udinese e su tutti i giornali il volto distrutto dell’attaccante 26enne semi-sconosciuto ai più fino a quel sorso di gloria andato di traverso. Il Mago, come veniva chiamato quando vestiva la casacca del Paranà, voleva scavalcare i preliminari con un colpo di prestigio. Il godimento non ama il percorso a tappe. O, semplicemente, non l’ha mai conosciuto. Quando si dice che i giovani vogliono tutto e subito.
Maicosuel è il capro espiatorio di un fallimento che ha origine ai vertici del club friulano, laddove si celano i veri motivi dell’eliminazione dei bianconeri. Sul banco degli imputati per un passo più lungo della gamba, lo stravagante centravanti sarebbe stato sollevato al cielo per audacia e sprezzo del pericolo se la sua trovata avesse avuto miglior sorte. Inutile, dunque, barcamenarsi nelle sterili polemiche da tv a pagamento. Coraggio, irriverenza e un pizzico di presunzione: serve ad un giovane un mix di questi ingredienti per affermarsi in un calcio come quello italiano che snobba le nuove leve? Certamente. E l’Udinese è l’esempio vivente di come vanno coltivati e conservati questi talenti. L”assoluta assunzione di responsabilità di un tecnico navigato come Guidolin rientra in questa oculata politica. Sgradite sorpese sono dietro l’angolo. Attenzione a racchiudere sempre tutte le carezze in un pugno. L’esuberanza giovanile a certi livelli non va oppressa ma nemmeno abbandonata a briglie sciolte. Il desiderio di emergere dall’anonimato, di essere equiparato ai propri idoli è troppo forte. Velenoso. Se assaggiato può annichilirti. Soprattutto in Italia dove si sputano sentenze precipitose e ingenerose. Prospettive bruciate e sogni svaniti.
La cantera del Barcellona è una fucina di piccoli geni del pallone. Spediti in campo ancora minorenni, una prova del fuoco ritenuta erroneamente un azzardo nel nostro Paese. Ma gli estrosi piccoli calciatori provengono da anni di regole e disciplina tattica per evitare lo straripamento dell’ego. Schierati nell’undici titolare, finiscono sotto l’ala protettrice di lupi anziani come Messi, Iniesta, Xavi, Puyol. Evidenti le frecciate intimidatorie e le bacchettate ad alto volume ogni qualvolta il bambino d’oro di turno si avventuri fuori dal seminato. Così si cresce.
Fuoriclasse si nasce, campioni si diventa. Le doti da predestinato vanno plasmate con cura, dentro e fuori dal rettangolo verde, per consentire al bocciolo di rosa di germogliare. Un gioiellino da salvaguardare soggiorna anche alle pendici del Vesuvio e veste la maglia numero 24. Lorenzo Insigne ha classe da vendere e il difficile compito di palesarla nella sua città natale, crocevia di pretese e contraddizioni. La società e il tecnico sono al suo fianco, sta a lui recepire nel modo giusto insegnamenti e avvertimenti. Nella sua prima apparizione al San Paolo contro il Bayer Leverkusen ha entusiasmato il pubblico con numeri da circo e assist al bacio. Troppo presto, però, si è lasciato trascinare dal boato della sua gente e nel secondo tempo ha cercato troppo spesso la soluzione personale escludendo i compagni dal suo show. Sostituito negli ultimi minuti, si è dovuto sorbire l’immediata paternale di Mazzarri. Messaggio chiaro: il bene della squadra prima di tutto. I successi del singolo sono avvinghiati al cammino del gruppo. E questo il ragazzo di Frattamaggiore doveva digerirlo sin da subito. Essenziale per la sua maturazione. La sua disponibilità e duttilità tattica dimostrate già a Palermo sono feedback rassicuranti.
Un plauso va fatto anche al mondo mediatico napoletano. Nella prima uscita stagionale il “Magnifico” non ha impressionato come altre volte. Potrà capitare in più di un’occasione, è tipico della sua giovane età. Non va assillato nè responsabilizzato troppo, ma solo spronato. Ci si attendeva qualche critica, malumori anche dall’opinione pubblica. Non c’è stato nulla di tutto questo. Napoli e il Napoli hanno finalmente intrapreso lo stesso sentiero. Un campo arato con diligenza dove i frutti migliori, prima o poi, renderanno saporitissimo il raccolto.