Questi ultimi, sfidano il caldo e la pazienza degli altri bagnanti, dilettandosi a giocare a calcio.
Ragazzi che giocano immaginando di essere al Camp Nou o al San Siro o che calciano il pallone per stemperare l’ozio delle vacanze, ma, talvolta, accade che, tra loro, possa celarsi qualcuno che calciatore lo è di mestiere, eppure si rivela paradossalmente capace di interpretare quello stesso sport senza prendersi troppo sul serio, con il sorriso sulle labbra, pronto anche a farsi prendere in giro, se gli capita di ciccare un pallone.
E’ così che ho conosciuto Francesco Volpe, mentre sviscerava il suo talento in riva al mare, praticando la saggia arte del calcio, inteso come sano divertimento.
Colpisce, spiazza, stranisce, vedere un ragazzo che ha giocato in Serie A, assumere un atteggiamento tanto umile, così poco consono al suo status di calciatore, per intenderci.
Volpe è uno dei pochi figli di questa terra che può gloriarsi di essere riuscito a tramutare un Super Santos in un pallone professionale, eppure non se ne vanta.
E quindi, approfitto della sua disponibilità per chiedergli di raccontarci la sua storia: “Ho iniziato, per gioco, nel vero senso del termine, come fanno tutti i ragazzini, ad Ercolano, paese in cui sono nato e cresciuto, con gli amici del parco “La sirena”, dove abitavo. Poi mi sono spostato a Pollena Trocchia, dove giocavo ancora per divertimento, solo quando sono entrato a far parte della Damiano Promotion, ho iniziato ad assaporare il calcio che conta attraverso la vittoria del Titolo italiano non professionisti.
La Damiano Promotion è il primo studio di consulenza e di procura calcistica del Sud Italia, seleziona i talenti più promettenti di Napoli ed entrare a farne parte, mi ha fatto capire che il calcio poteva diventare il mio lavoro. Così, all’età di 14 anni, ho svolto il provino che mi ha permesso di essere reclutato nelle trafile del Genoa ed è lì che è iniziata la mia avventura nel “calcio vero“. A 16 anni ho esordito in Serie B, dopodiché, ho militato per due anni nella Primavera della Juventus ed ho condiviso questa meravigliosa esperienza con calciatori del calibro di Marchisio, Giovinco, Criscito, De Ceglie, in quella che, a mio avviso, è una delle migliori squadre al mondo.
Da lì, mi sono spostato in Serie C1, dove con il Ravenna ho vinto il Campionato e questo è il ricordo più bello che conservo della mia carriera, non solo sotto il profilo strettamente calcistico, poiché reputo che Ravenna sia una città splendida.
Poi è stata la volta del Livorno, squadra con la quale ho esordito in serie A, seppure abbiamo lottato fino all’ultima giornata, la squadra retrocesse in serie B, ma, l’anno successivo, riuscimmo subito a riconquistare la promozione nella massima serie, dove ho collezionato 26 presenze all’incirca. Quindi sono andato a Trieste, ho disputato il campionato di Serie B, ma, dopo i play out, la squadra è retrocessa.
Allora tornai a Livorno fino a gennaio, per poi passare alla Spal, dove riuscimmo a conquistare la salvezza.
Per me, poi, è iniziata l’ esperienza che più di ogni altra mi ha formato caratterialmente: la scorsa stagione, trascorsa a Piacenza. La squadra partiva con -11 punti di penalizzazione, da novembre in poi, non abbiamo più percepito lo stipendio ed abbiamo lottato e convissuto con molte altre difficoltà. Ciò nonostante, siamo riusciti a conquistare i play out, anche se, alla fine, la squadra è retrocessa, ma siamo usciti dal campo tra gli applausi del pubblico ed è un dato di fatto che testimonia che la piazza aveva ben recepito il nostro attaccamento alla maglia, nonché il nostro comprovato impegno per ottenere la salvezza. Ero il più vecchio della squadra, nonostante i miei soli 26 anni ed ero il capitano, non per anzianità, piuttosto ne faccio una questione di responsabilità.”
Come appare il Napoli agli occhi di un napoletano che gioca altrove?
“Napoli è diventata una realtà di rilievo con l’arrivo di De Laurentiis, prima il settore giovanile era inesistente. Adesso è tutto diverso, i ragazzi di questa città che mirano a diventare calciatori sono legittimati ad ambire di entrare a far parte delle trafile del Napoli, non sono “costretti” a guardare verso la parte alta dello stivale, come fu per me. L’epoca in cui io approcciavo con il calcio professionistico, era quella del Napoli di Corbelli e Naldi, mentre il Napoli attuale è una delle società più prestigiose del panorama calcistico nazionale, anche se la mentalità che regna nella città, il calore e la passione con la quale la gente vive il calcio, crea delle pressioni sui calciatori che li portano a condurre una vita sacrificata. Se fossi stato un calciatore del Napoli, infatti, penso che non mi avrebbero mai reso possibile vivere come faccio ora…Non potrei di certo essere qui, a giocare a calcio in spiaggia, con i miei amici!
Tuttavia, nel 2007, in occasione della partita di Coppa Italia tra Napoli e Livorno, ho avuto l’opportunità di calpestare il manto erboso del San Paolo, seppure da avversario, ma è stata un’emozione indescrivibile anche così, non riesco ad immaginare cosa si possa provare ad entrarci indossando la maglia del Napoli. Guardavo gli spalti, non il campo, cercavo i volti dei miei amici, era uno spettacolo da pelle d’oca.”
Quali sono le differenze tra il “tuo calcio” e calcio moderno?
“Il calcio sta cambiando e credo sia una logica conseguenza del momento economico che l’intero Paese sta vivendo. Per comprenderlo, non è necessario soltanto ricercare le motivazioni che spingono i club affermati di Serie A a privarsi dei loro prezzi più pregiati, ma è sufficiente guardare cosa sta accadendo anche nei campionati minori, ad esempio, il livello della Serie C1 si è abbassato rispetto a qualche anno fa, ci sono 3-4 squadre competitive, le restanti sono delle vetrine per giovani calciatori emergenti, poiché le società hanno maggiore interesse ad investire sui ragazzi, soprattutto per il minore dispendio economico che una scelta simile comporta.”
Quali sono i tuoi consigli per i giovani che sognano di diventare calciatori?
“Per emergere in questo ambiente occorre un 60% di talento, ma anche un 40% di fortuna.
Ma, inizialmente, il calcio deve essere percepito e vissuto come un divertimento, almeno fino a quando non si approda in una squadra professionistica e, comunque, da adolescente devi viverti la vita e giocare per divertirti, senza trascurare le esperienze proprie di quell’ età. Poi, quando arrivi allo step successivo, devi praticare una scelta: o il calcio, con il carico di sacrifici e rinunce annesse che ciò comporta oppure la tua vita, quella di un ragazzo “normale” che può condurre un’esistenza altrettanto normale, ossia andare a ballare quando vuole e divertirsi come meglio crede.”
Perché Volpe può concedersi il lusso di giocare a calcio per diletto, nel bel mezzo dell’estate, quando i calciatori più o meno professionisti sono impegnati nei dispendiosi ritiri pre-campionato?
Perché il suo status attuale è quello di calciatore svincolato, in attesa di un ingaggio.
Appare un paradosso grande, enorme, che un figlio del calcio di un tempo, quello avulso dall’avida brama di fama e denaro, ma pregno di grinta, tenacia, agonismo e combattività, sia relegato a bordocampo, in attesa di apprendere con quale casacca scenderà in campo per dare luogo alla sua nuova, entusiasmante avventura.
E l’incisiva risolutezza con la quale commenta la sua realtà, sottolinea e sancisce quella peculiare e veemente passione che ne infervora la caparbietà: “Giocare a calcio è una delle poche cose che so fare bene e non potrei mai rinunciarci, non riesco neanche ad immaginarmi lontano dai campi di calcio.
La determinazione è sicuramente la mia marcia in più.
Il calcio è una casta limitata, nella quale regna una selezione spietata, nella quale non ci sono infiniti posti a disposizione e l’unico imperativo utile per emergere è dare sempre il massimo e non mollare mai.”
Cosa augura Francesco Volpe a Francesco Volpe?
“Sarebbe facile viaggiare con la mente, sfociare nella banalità e rispondere che sogno di giocare nel Napoli piuttosto che vincere la Champions League. Nel corso di questi anni, mi sono tolto delle soddisfazioni e voglio continuare a fare quello che ho sempre fatto finora: giocare a calcio per togliermene altre, perché, almeno per me, le soddisfazioni non bastano mai.”
Francesco Volpe è un portatore sano di ideali forse obsoleti per i nuovi interpreti del calcio moderno, ma imprescindibili ed irrinunciabili per gli eterni innamorati di questo sport: “passione”, “carattere”, “spirito di sacrificio”, “abnegazione”, “grinta”, “cattiveria agonistica”, “attributi”, incarna un umile talento munito della saggezza di un veterano e l’entusiasmo di un adolescente, ragion per cui si fa davvero fatica a concepirlo lontano dal rettangolo verde.
Ed è per questo che mi auguro di rincontrarlo, in un futuro auspicabilmente prossimo, non su una spiaggia, ma in un contesto a lui più consono, per raccontarvi “la sua nuova avventura.”
Lo auguro a Francesco Volpe, ma anche a coloro che seguono questo sport mossi da genuina e sana passione, poiché a loro non è necessario spiegare perché il calcio ha bisogno di interpreti come Francesco Volpe.
Luciana Esposito
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Articolo modificato 17 Set 2012 - 18:40