Il ritorno del Pocho in città

Quando partì la città rimase in silenzio. Era troppo l’orgoglio per piangere, per disperarsi. Sì, lui se n’era andato. Oltre il Nord, oltre le Alpi. Lontano.

Nessuno pianse. Più per mantenere l’onore che per paura di rimanere soli. Lui, intanto, scrisse una lettera appassionata, in cui dichiarava amore eterno alla città che, ora in silenzio, abbandonava pubblicamente.

Quando il suo aereo atterrò nella nuova città, guarda un po’, c’erano i vecchi tifosi ad accoglierlo. Non i nuovi. I vecchi. Gli saltellavano intorno, ancora non rassegnati al suo addio. Gli affibbiavano al collo la vecchia sciarpa, spinti da un estremo atto di speranza. Lui, indispettito e imbarazzato – diciamolo, forse anche un po’ stufo – rispose con un mezzo sorriso. In silenzio, naturalmente.

La cose, col tempo cambiarono. La città decise, forse inconsapevolmente, di non lasciare spazio ai ricordi. Basta rimpianti. Scurdammece o’ passat’. E subito il nuovo idolo arrivò. Un figlio vero, partito da giovane pur di farsi le ossa e diventare un campione; ritornato con la testa sulle spalle e tanta voglia di stupire. Il ricordo del vecchio campione, della vecchia bandiera, del vecchio idolo se ne andò via, veloce, per lasciar spazio alla rabbia. Solo qualcuno, di rado, lo difendeva.

Certo, la vita non fu facile nella nuova città. Una metropoli gigantesca al passo con i tempi, dove nessuno regalava nulla. Gli autografi te li dovevi guadagnare col sudore, in campo. L’idolo, poi, non era più lui. Ce n’erano altri con nomi ben più pensanti sulle maglie, dai contratti ancora più sontuosi.

Fu così che, animato da quella strana e bastarda sensazione che è la malinconia, prese a mandare messaggi d’amore alla vecchia città, lì dove era amato senza chiedere nulla in cambio. Qualcuno racconta che un giorno, dopo aver aspettato 2 ore in fila per entrare in un ristorante, si mise per terra, sconsolato. Qualche lacrima spuntò giù dalla barba incolta.

La decisione fu presa all’istante. Era quello il momento in cui tutto apparve chiaro. Doveva tornare. Punto. Non lo disse a nessuno per più di un mese. Per più di un mese si dichiarò infortunato pur di non ritornare sui suoi passi. Quando la conferenza stampa fu indetta c’erano solo giornalisti stranieri, guarda caso italiani. Le parole furono precise, mosse da un’aurea di determinazione che mai nessuno s’era aspettato da un tipo come lui. “Torno. Ho deciso di tornare. So che solo voi siete la mia città. Solo con voi mi sento a casa”.

Qualcuno non ci credette. Qualche altro lo sapeva fin dalla sua partenza. “Non avrebbe resistito. Troppi galli in un pollaio”. La città, intenta a cullare il nuovo idolo, si ritrovò di nuovo con il ricordo sbattuto in prima pagina. Ci fu rabbia. Tanta rabbia. Poi, bastò appena qualche giorno per rimettere tutto al suo posto.

Sì, perché diciamocelo, siamo troppo buoni, e perdoniamo tutto a chi ci ha fatto sognare.

Molto tempo dopo, qualcuno racconta che il Pocho restò bloccato in fila al ristorante per 3 ore. La polizia non riusciva a contenere la voglia dei tifosi di vederlo. Si accasciò, e dalla barba spuntarono delle lacrime. Ma, questa volta, erano di gioia.

Raffaele Nappi

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