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Se qualcuno glielo avesse pronosticato, Ciro Ferrara lo avrebbe accettato solamente come uno degli auguri più belli che un calciatore potesse aspettarsi, riconoscendo che sarebbe stata una carriera strepitosa. Detto, fatto. Ciro, il figlio di Napoli, l’effige della “cantera” partenopea, colui che è partito scugnizzo povero di prospettive ma appesantito dal bagaglio dei sogni, è cresciuto fino a divenire un simbolo per una squadra affibbiatagli sulle spalle per appartenenza, onorata e impreziosita di vittorie e soddisfazioni che rappresentano il punto di partenza per un uomo che ha costruito una immagine di sé inalterabile, sobria e pulita, surrogata da un sano principio di onestà e chiarezza, senza fronzoli e peli sulla lingua. Ciro Ferrara ha poi lasciato il Sud, con non pochi rimpianti, per una destinazione che ai più è sembrata uno sfregio, una mascalzonata, un’offesa per ciò che la squadra che lo aveva ingaggiato rappresentava e tutt’ora rappresenta per la tifoseria azzurra, quell’immagine nemica per antonomasia, che trasuda un odio sportivo che mai si affievolirà nel tempo. Eppure fu necessità, fu per una giusta causa, venne forzata e incassata duramente dai napoletani come il sacrificio d’un figlio al cospetto di una ben più importante causa, quella con cui il Napoli ha potuto “campare” ancora per qualche anno, la “sporca moneta” che concesse ossigeno per le casse quasi a secco dell’ingegnere Ferlaino.

A Torino, non ha certo impersonato la parte dell’emigrante con la valigia di cartone, anzi, il buon Ciro ha continuato sulla falsa riga di Napoli, vincendo in Italia e nel mondo con una delle migliori Juve degli ultimi decenni. Anche la nazionale lo ha visto protagonista, prima in campo con 49 presenze, ma anche agli albori della sua carriera, quando, da assistente di Lippi, portò a casa un mondiale che in molti attribuiscono anche alle sue doti umane all’interno dello spogliatoio azzurro, all’epoca una polveriera causa calcioscommesse e relative polemiche, che diventarono come per magia la forza del gruppo. Successivamente, dopo la parentesi poco felice sulla panchina bianconera e qualche anno da opinionista Sky, ritorna ad allenare un club, la Samp, che lo ingaggia al posto di Iachini, fresco di promozione in Serie A.

Ad oggi, Ferrara è sulla bocca di tutti come fautore di un calcio essenziale, tattico e pragmatico, figlio di una mentalità proiettata verso un gioco offensivo ma prudente, sfruttando al meglio il modulo 4-3-3. Domani sfiderà il suo passato, un po’ come incontrare un vecchio amico d’infanzia, al quale hai raccontato tutto di te e che vorresti non aver mai smarrito per strada. Ma il romanticismo non abita più qui, il calcio lo insegna già da qualche decennio, ed anche le amicizie più strette e importanti lasciano spazio alla necessità di emergere e fare risultato. Niente distrazioni Ciro, il Napoli ha imparato a guardare oltre. 

Articolo modificato 29 Set 2012 - 09:32

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Scritto da
redazione