L’escursione emotiva, scorbutica e brutale, della guerra. Preleva chiunque dalla sua tranquillità e, scaraventandolo in un terribile altrove, gli fa fare conoscenza dell’ostilità. È successo a tanti, e l’insaputa è il foglio di via che li ha trasferiti nei luoghi indesiderati pure all’inferno.
È successo a Ferdinando Valletti, mediano del Milan che ha giocato pure al fianco di Meazza. All’inizio degli anni ‘40, Valletti, veronese di nascita, veste la casacca della Milano rossonera. Nel 1944, per aver partecipato a uno sciopero con gli operai dell’Alfa Romeo, viene tratto in arresto e condotto al carcere di San Vittore. I binari della sua amara destinazione compiono però un’inquietante deviazione. Mauthausen, uno dei più orribili luoghi della seconda guerra mondiale. Valletti finisce nel lager.
Aveva fatto già parte della Brigata Garibaldi, e, inviso ai fascisti, non gli era stato perdonato di aver distribuito volantini per conto del movimento operaio in agitazione per i fatti dell’Alfa Romeo. Nel campo di concentramento, Valletti si riduce a meno di quaranta chili. Eppure, nonostante gli stenti e i vili trattamenti subiti, riesce a sopravvivere, distinguendosi per generosità e forza di volontà. Di lui racconta pure Aldo Carpi, nel suo “Diario di Gusen”, descrivendo il giovane calciatore del Milan come un bravo ragazzo, che più volte lo aveva aiutato nel lavoro e in una particolare occasione gli aveva addirittura salvato la vita.
Invece, a salvare Ferdinando, provvede il pallone. Le milizie di vigilanza nazista nei campi di sterminio erano solite organizzare, per svago e passatempo, partite di calcio tra soldati e a volte anche con prigionieri. In occasione di una di queste manca un giocatore. Uno dei militari tedeschi si ricorda di Ferdinando calciatore e decide di farlo giocare per completare il numero utile all’incontro. Valletti, nonostante pesi 39 chili e si mantenga a stento in piedi, partecipa alla partita e si guadagna la possibilità di lavorare come sguattero addetto alla distribuzione di bucce di patate ai prigionieri del campo.
Il suo nuovo lavoro gli consente di aiutare molti suoi compagni di sventura, grazie anche al fatto di poter disporre degli avanzi dei pasti riservati ai soldati tedeschi. Nel maggio del 1944 viene liberato e al suo ritorno a casa si presenta in condizioni al limite della sopravvivenza. Nel frattempo, 10 mesi prima, era nata sua figlia, Manuela, che da giornalista racconterà di lui e della sua prigionia, attraverso il libro “Deportato I 57633 Voglia di non morire”, come faranno pure Mario Vittorio Quattrina, con l’omonimo documentario, e lo stesso Aldo Carpi, suo compagno di persecuzione.
Soprattutto, Ferdinando lo hanno raccontato come lui stesso ha fatto molti anni dopo la fine della guerra, incontrando tanti studenti per consegnare loro la sua cruenta esperienza, dopo una vita separata da una gioventù trascorsa sul campo di calcio e un’altra vissuta nei campi di sterminio. Una seconda vita, più dignitosa e rasserenante, Valletti l’ha vissuta come dirigente dell’Alfa Romeo, il luogo che negli anni della guerra gli aveva procurato l’arresto e la prigionia nei lager di Mauthausen e Gusen.
Fernando Valletti, oltre che impegnarsi per raccontare agli studenti la sua storia, ha pure realizzato progetti di assistenza per gli operai più anziani dell’Alfa Romeo, ricevendo, a causa dei suoi servigi e dei meriti riconosciutigli durante la sua permanenza forzata nei lager, diverse onorificenze. Tra queste, la più importante, la “Stella al merito del lavoro”.
Fernando Valletti se ne va nel 2007, dopo che dal 2000, a causa del morbo di Alzheimer, era stato costretto a ritirarsi definitivamente a vita privata. Valletti, calciatore del Milan nei primi anni ‘Quaranta e attivista politico, distributore di bucce di patate ai prigionieri nei lager, poi dirigente dell’Alfa Romeo. La guerra fa così, uccide tante vite, oppure ne incastra più d’una in una sola. È il suo gioco preferito.
sebastiano di paolo, alias elio goka