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Roccioso, con sette polmoni. Poche sbavature e tanta generosità. Hugo Campagnaro è tornato il muro invalicabile di due anni fa. Due soltanto le reti subite dalla retroguardia azzurra nelle prime sei giornate di campionato, il miglior ruolino di marcia della serie A. Gli innesti di Gamberini e Britos hanno conferito sostanza al pacchetto, ma segnali di una nuova primavera provengono certamente dalla vecchia guardia.

Il difensore argentino si è reimpossessato delle sue certezze, messe alla gogna la stagione scorsa dai tanti impegni e da una condizione generale spesso precaria. Un’annata nata sotto una pessima stella, dopo l’incidente di cui fu protagonista nel giugno 2011, con tre morti tra i quali un suo caro amico. Ma i primi mesi all’indomani del dramma furono positivi e Campagnaro non pareva risentire sul campo di quella devastante tragedia. Poi, purtroppo, tanti alti e bassi, tutte le gare da giocare a mille, l’assillo della Champions. Anche lui scaraventato nel calderone delle critiche alla difesa azzurra, che ha chiuso lo scorso torneo con uno score poco invidiabile di 46 reti subite ed una costante sensazione di vulnerabilità. Del mercato estivo, poi, si è contestata proprio l’assenza di un colpo ad effetto davanti a De Sanctis.

Tante le recriminazioni, eloquente la mancanza di fiducia negli uomini che già militavano nella rosa. Un sussulto d’orgoglio era preventivabile. Ed è arrivato, puntualmente. Hugo ha visto aggirarsi dalle sue parti giocatori temibili quali El Papu Gomez e Jovetic, rapidi ed estrosi. Imbavagliati e seduti all’ultimo banco (le follie degli ultimi minuti a Catania non sono da addebitare a lui). Ma i sigilli alla porta partenopea sono stati posti con maggior vigore nelle ultime due gare. Al San Paolo contro la Lazio, mentre capitan Cannavaro accalappiava Klose, il buon Campagnaro ha soffiato energicamente sulla candela Hernanes, riducendola ad un logoro lumino da camposanto. Senso della posizione, mai un passo falso, vagonate d’esperienza.

Come una melodia sempre più coinvolgente, sono gli ultimi 90′ il fiore all’occhiello del centrale nativo di Cordoba. Perfetto nelle diagonali, padrone sulle palle alte, quasi mai in affanno anche al cospetto di avversari con un passo diverso dal suo. Cambiando gli addendi dell’attacco blucerchiato, il risultato non è cambiato. Nel primo tempo, quando il Napoli non riusciva a trovare le contromisure all’aggressività doriana, ha tolto le castagne dal fuco almeno in un paio di circostanze: sugli sviluppi di un corner, spazzando via la sfera dalla zona rossa, a due passi dal pirata Morgan; uscendo in anticipo su Soriano pronto a calciare a rete dal limite dopo un triangolo con Eder. Due esempi della sua capacità di leggere in anticipo le intenzioni dei dirimpettai e installare il posto di blocco alla dogana.

Il carro armato argentino non si rintana solo nella sua metà campo a difesa del territorio. Le sue proiezioni in avanscoperta ormai sono un marchio di fabbrica. Addirittura ultimamente ricordiamo le sue sortite meglio di quelle proposte da un evanescente Christian Maggio. Nei minuti finali della gara del “Ferraris”, con alle spalle una gara dura e rognosa, ha recuperato palla in difesa e si è esibito in un coast to coast con il supporto di Cavani: 80 metri di campo ad una velocità sorprendente fino alla conclusione su assist del Matador. Palla alle stelle, altrimenti c’era da inginocchiarsi. Campagnaro è fuori dalla palude, confermando lo smalto ritrovato proprio davanti a quei tifosi che tanto l’hanno amato e rimpianto. L’obiettivo è continuare a danzare in punta di piedi, senza mai perdere la concentrazione. La coperta lunga è alla base di tutti i grandi traguardi.  E “il meglio deve ancora venire”.

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Scritto da
redazione