Su un piano immediato saremmo colti da deliri di onnipotenza, da una vertigine di riscatto irrazionale, da capogiri d’altura. Usciremmo profumati come non mai, con una fame da competizione, disponibili fino al martirio con le nostre donzelle. La bocca fissata in un sorriso paralitico, gli occhi inebriati, e mille pensieri confusi, perché quando si sente non c’è posto per il pensiero che raffredda.
Perdoneremmo tutto, svolte a sinistra senza freccia, mancata precedenza, la nostra auto stritolata sulle strisce da altre in quadrupla fila. Catturati dalla gioia faremmo l’amore senza freni, annuendo alla dolce domanda della nostra metà: “Perché non facciamo un figlio”?
La scena cambierebbe dopo tre-quattro giri completi del sole.
All’incirca Mercoledì il nostro umore perderebbe la sua santità, e una sottile ansia mista a inquietudine ci verrebbe al guinzaglio.
Quando si è saliti in Paradiso e si è parlato faccia a faccia con Dio, il problema diventa sostenere il dialogo, perché Dio può ben concederci una battuta, ma un dialogo è cosa che richiede forza e un po’ di sfacciataggine.
La vetta esige il mantenimento, l’ebbrezza vuole conservarsi; ma proprio il timore della caduta renderebbe l’apoteosi di Sabato quasi una maledizione. Ansie da prestazione, calcoli su tabelle, tremori da conservazione. Incominceremmo a pensare quel che potrebbe essere a Maggio, il trionfo ma anche la possibilità del suo contrario. Resteremmo attoniti, paralizzati dall’angoscia di perdere la felicità acquisita.
Ben triste sorte tocca al tifoso, e in generale all’uomo: gode di quello che fa proprio, ma lo gode per un giorno, perché gli altri si consumano nel terrore di perdere ciò per cui aveva goduto.
Allora, cosa ne dite? Se Sabato vincessimo?
Carlo Lettera
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Articolo modificato 18 Ott 2012 - 12:22