C’è attesa, e che attesa. Se lo chiediamo a chi di quell’attesa si fa protagonista non otterremo una risposta guidata dalla logica, ricaveremmo solo parole confuse, come chi si trova in un sogno.
Eppure si attende, un messaggio imperiale, un bacio di una fanciulla che passa, l’odore fresco del basilico appena pestato, chissà.
Si attende un giorno, un’ora, un evento. E quell’ora, quell’evento lievita nel cuore fino ad opprimerlo, fino a volere che accada il più velocemente possibile, troppo grande è il peso per poter essere sopportato ancora. Accade sempre così, non siamo capaci di godere le cose più belle.
Nel ventre di Napoli una febbre pericolosa abbatte gli abitanti, li sta annientando di desiderio, li costringe a letto in preda a deliri.
E’ la partita, la partita, la partita. E’ la Juve, la Juve, la Juve. E’ solo questa emozione primitiva quella che riesco a scorgere nel ventre di Napoli, nei suoi vicoli oscuri dove tutto sembra in agguato fuorché la felicità.
Nel ventre di Napoli si digerisce un’amarezza tenace, e le sue stradine strette come l’intestino pulsano di una voglia nuova:vittoria!
Cosa significhi poi questa vittoria nessuno lo sa, non lo sa chi la desidera. Sono i giornalisti che vogliono dare un significato a questa vittoria, e costruiscono contrapposizioni, diversità, tentando di spiegare tutto con la ragione, perché per loro tutto va compreso e analizzato, nessuna zona d’ombra deve restare.
Ma nel ventre di Napoli la vittoria desiderata di sabato non ha un motivo, non ha una spiegazione, e quando mi azzardo a chiedere a un calzolaio appena uscito dalla sua bottega ancora impastricciato di colla che valore assegnerebbe all’eventuale vittoria contro la Juve mi guarda stranito, quasi mi accusa. Poi mi dice “ Ma che vvuo’ capì, sti’ ccose nun tenene raggione”
Hai ragione mio bravo calzolaio, queste cose non hanno ragione.
Carlo Lettera
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