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Omar Enrique Sivori. Non uno qualunque. Sivori era Sivori, non facciamo paragoni. Scapestrato, introverso, vulcanico, velenoso almeno quanto fosse geniale, spettacolare, spietato, insomma campione. Da qualche anno presente nella “Hall of fame” dei migliori 100 calciatori di sempre, Omar è di certo l’iconoclasta di un’era che ha vissuto sulla nascita dell’eroe dalla testa vuota, etichetta che verrà riproposta e riesumata per altri protagonisti del calcio mondiale, ma lui l’ha esportata dall’Argentina per portarla in Italia, assieme con un bagaglio di sogni di cui le due squadre in cui ha militato, Juve e Napoli, hanno ben presto preso parte. “El cabezon” venne definito, inizialmente per la sua folta capigliatura, ma successivamente questo appellativo gli calzava a pennello anche per i suoi eccessi in campo.

Arriva in Italia nel ’57 ingaggiato dalla vecchia signora, con la quale vincerà scudetti e coppe, oltre che il pallone d’oro come premio al suo estro, unico nel suo genere a quei tempi, ma forse ancora oggi. Già, una tecnica sopraffina che lo ha reso speciale, quel modo di muoversi in campo che era un inno alla gioia, un’andatura da guascone più che da atleta, con quei calzettoni bassi quasi a schernire gli avversari, un invito a “picchiare duro” che spesso e volentieri è andato a buon fine, se si guardano le rissose reazioni e le tante espulsioni subite in carriera. Litigioso anche fuori, i suoi limiti caratteriali lo hanno spesso messo in cattiva luce con i compagni di squadra, oltre che con i tecnici che si sono susseguiti nella sua carriera. Il grande Herrera, appena approdato alla Juve, si permise di definirlo “un giocatore come gli altri”, e allora giù dichiarazioni al vetriolo e rottura immediata.

Nel ’65 trasloco la sua gioia calcistica all’ombra del Vesuvio, dove mandò in visibilio i tifosi partenopei, che allora non badavano alla provenienza da cui Omar arrivasse, nonostante fosse stato il simbolo bianconero per 8 anni. A Napoli formò una delle coppie più stellari mai viste in Italia, assieme con Altafini, il quale ripercorse òa strada inversa, divenendo “core ngrato” per i tifosi napoletani. Vinse la Coppa delle Alpi nel ’66 e in campionato trascinò i compagni al terzo e al quarto posto nei campionati successivi, per arrivare alle soglie dello scudetto nel ’68, dove il Napoli si fermò alla seconda piazza, anno in cui Omar patì un infortunio al ginocchio che lo tenne fuori uso quasi per l’intero campionato. L’assenza dai campi fu il malanno più grave per Sivori, che pretese di rientrare a pieno rango in squadra, senza passare per un percorso di riabilitazione. A quei tempi Pesaola, tecnico azzurro, non le mandava di certo a dire, e si innescò l’ennesima discussione in cui i due argentini non si risparmiarono, inaugurando così la lenta caduta del campione argentino.

Emblematica fu la sua uscita di scena dal calcio italiano, entrata nella storia come un segno del destino che forse a nessun altro calciatore capiterà. 1° dicembre 1968, Napoli-Juventus al San Paolo. Davanti a ottantamila persone la Juventus passò in vantaggio grazie ad un goal realizzato da Anastasi, abile a trafiggere un portiere che negli anni a venire avrebbe contribuito a scrivere alcune delle pagine più belle della storia di Madama: Dino Zoff. In soli venticinque minuti di gioco una doppietta di Montefusco consentì poi alla formazione di Chiappella di ribaltare il risultato, fino all’arrivo dell’episodio che stravolse l’incontro. Herrera aveva deciso di affidare Sivori alle cure di Erminio Favalli, un guardiano che il fuoriclasse azzurro soffriva nonostante i ripetuti tunnel che gli riservò per quasi un tempo. L’arbitro Pieroni, che già aveva dovuto calmare i bollenti spiriti tra i due, ad un minuto dalla conclusione della prima frazione di gioco espulse “El Cabezón” per un fallo sul diretto avversario, la cui gravità venne accentuata da una simulazione messa in atto dall’ala bianconera. In quel momento terminò la sua partita ed ebbe inizio una rissa che coinvolse Panzanato (Napoli, al quale vennero inflitte nove giornate di squalifica), Salvadore (Juventus, quattro) e Chiappella (per lui due mesi di assenza forzata dalla panchina). A Sivori, al quale di giornate ne vennero affibbiate sei, non rimase che la rabbia per un’espulsione che visse come un’ingiustizia perpetrata ai suoi danni. A fine gara, infatti, si lasciò andare ad una promessa mai mantenuta: “A Torino giocheremo in sei. Tanto, per vincere contro di voi, bastiamo pochi“. La Juventus, nonostante avesse avuto a disposizione tutta la ripresa da disputare in dieci contro nove, perse quell’incontro al “San Paolo” col risultato di 2-1.

Sivori scappò via dall’Italia e, poco dopo anche da un calcio che non riconobbe più, che si ruppe nelle mani come un giocattolo usurato dal tempo, ed ecco come un giorno speciale si trasformò nella consapevolezza di non appartenere più al dorato mondo che lo aveva accompagnato sui tetti del mondo. Si ritirò poco dopo dal calcio e lasciò milioni di tifosi con l’amaro in bocca, soprattutto i tifosi partenopei che avevano sperato di vedere cucito sulle maglie azzurre quello scudetto che solo un fenomeno come Sivori avrebbe potuto contribuire a vincere in quegli anni. Solo vent’anni dopo un’altro argentino scapestrato almeno quanto lui, con le stesse movenze, con uno stile piuttosto simile, regalerà le vittorie tanto attese.

Da oriundo fece parte anche della nazionale italiana, dove vi prese parte solamente 9 volte, con ben 8 reti segnate. Ma l’idillo con la maglia azzurra finì poco dopo i fallimentari mondiali cileni del ’62, dove in molti convengono che anche in quel caso Sivori pagò il suo carattere spigoloso e introverso. Dopo aver rivestito le cariche di osservatore sudamericano per la Juve, oltre ad aver fatto negli ultimi tempi il commentatore sportivo, riscuotendo un acclamato successo, si è spento all’età di 69 anni lasciando un vuoto enorme tra gli uomini in grado di dare un’esamina lucida e schietta sulle gesta calcistiche dei nostri tempi.

In un giorno speciale come questo, in cui bianconeri e azzurri si affronteranno dopo anni per definire il vertice della classifica, aleggia il ricordo di un campione che ha infiammato le tifoserie delle due squadre, un eroe sudamericano, pioniere del calcio fantasia, fu “l’uomo del tunnel” con cui innervosia ed irideva i difensori avversari, la biscia d’aria di rigore, il leone dalla criniera folta che ruggiva e intimoriva le difese avversarie. Ha forse raccolto meno di quanto potesse realmente, ma è il destino di tutti i grandi del calcio quello di poter mettere a disposizione solo in parte i vantaggi di essere fuoriclasse. Oggi Sivori sarà in prima fila, tra gli angeli che osserveranno da lassù la partita di Torino. Si potrà ancora riconoscere tra i corpi celesti, perché sarà uno dei pochi “angeli dalla faccia sporca”. 

Ecco un video in cui racconta il suo arrivo a Napoli

Articolo modificato 20 Ott 2012 - 08:47

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Scritto da
redazione