Per chi ha toccato con mano la dura realtà della provincia meccanica, quella in cui devi sopravvivere facendo di tutto, figurarsi mettere in discussione il posto di lavoro in una fabbrica simbolo della produttività come la Fiat. Sarebbe come aprire le porte dell’inferno, per una zona disastrata e disagiata come l’hinterland napoletano, schiavo di soprusi, violentato nel panorama tossico, e derubato di quella dignità che solo il lavoro può mantenere viva. Privarli anche di questo significherebbe pugnalare alle spalle la forza dello spirito, quella che ti aiuta ad aprire gli occhi la mattina e a dire si al giorno che bussa alla porta. Soffocare e ancora affannare, vedersi allontanare anche quel piccola fiamma di speranza alimentata dalla necessità del vivere, di andare avanti, di “faticare” e sudarsi la paga per veder sorridere i propri familiari.
Il Signor Vincenzo Montella ha il padre che per trent’anni ha dato…il cuore e l’anima al progetto Fiat di Pomigliano, per cui, sa bene di cosa parla. Suo padre portava a casa il pane che gli avrebbe consentito di calciare il pallone e diventare “l’aeroplanino” che ha fatto le fortune di mezza serie A, nel luogo in cui, 38 anni prima, lo vedeva nascere per vivere un’infanzia segnata dal sacrificio, quello a cui Papà Montella mai ha saputo rinunciare. Ecco le sue parole durante la conferenza stampa pre-gara: ‘Sarebbe devastante se chiudesse lo stabilimento della Fiat a Pomigliano d’Arco, quell’azienda muove l’economia della provincia di Napoli. Conosco bene quella zona, ci vivono ancora i miei, se chiudessero gli stabilimenti sarebbe un disagio notevole: la sopravvivenza da quelle parti e’ difficile”.
Signori, a voi la sentenza, che possiate riflettere bene prima di dare quella che potrebbe anche prendere il significato di una sentenza di morte, anche solo dello spirito. Meditate, fatelo con giudizio, è la coscienza degli Italiani che ve lo chiede, seppur martoriata dallo scempio politico e sociale a cui è sottoposta quotidianamente.