“Per quanto i tecnocrati lo programmino perfino nei minimi dettagli, per quanto i potenti lo manipolino, il calcio continua a voler essere l’arte dell’imprevisto”
cit. Edoardo Galeano
“Il calcio è l’unica rappresentazione sacra del nostro tempo. E’ rito nel fondo, anche se è evasione”
cit. P. P. Pasolini
Queste frasi appartengono a due uomini di cultura che hanno amato il calcio, che di questo sport sanno offrire un ritratto veritiero al di là del solo aspetto scenico e aggregante. Il calcio è certamente una forma d’arte popolare, una rappresentazione che tiene unite le masse, una realtà esteriore che si riconosce in dei simboli ed un linguaggio commerciale tanto che, molto spesso, lo si associa ad un sottile mezzo per tenere le menti impegnate, distratte..
Eppure c’è molto di più: come ogni forma d’arte sa esprimere sentimenti e passioni che possono essere notati soltanto permettendo alla propria mente di andare oltre i pregiudizi; arrivando a comprendere che ogni aspetto che riguarda lo svago, l’intrattenimento sa avere un’anima meno effimera, più profonda.
Nelle esperienze di questi due autori il calcio non è solo evasione esteriore ma, anche, una modalità di protesta; attraverso la totale imprevedibilità.. Tra le sue peculiarità il calcio possiede la gioia; espressa oltre ogni forma di contrizione.
Una delle fotografie di maggiore impatto che ritrae Pasolini lo vede intento a calciare un pallone; possiamo immaginare la scena, riconoscere una strada e vederlo camminare, per poi fermarsi di botto e cercare di effettuare uno stop. I vestiti denunciano, in maniera evidente, che i suoi affari, quel giorno, sarebbero dovuti essere ben altri ma quando un pallone rotola e veloce ti si avvicina ogni difesa, ogni scrupolo o impegno si dissolve. Pasolini ci offre un raro gesto di libertà e di gioia quello stesso sentimento che anima Galeano; di origini sudamericane, infatti, nel trattare di calcio è fermamente convinto che si avvicini ad una realtà di carattere utopico, un mezzo di riscatto per quanti, nella sua terra, non hanno nulla fuorché un pallone.
Ha lasciato intendere, in modo evidente, che, alle volte, visto nel verso giusto, può diventare un chiaro simbolo della giustizia, un’arma contro le inquietudini causate da un regime repressivo, un mezzo per condannare violenza e oppressione.
L’arte è uno strumento per valicare le frontiere e non importa che forma assuma, non interessa se la si trova in un museo o in due squadre che si affrontano.
L’arte è sinonimo di elementi su cui dialogare e non può convivere con il controllo e, alla luce di questa riflessione, lo scontro tra i due elementi è disastroso: o l’arte si piega alle forzature esterne oppure cerca di superare le paure e, è il caso di dire, riesce a gettare il cuore oltre l’ostacolo.
Vi sono molti modi per raccontare la Storia.. La storia del calcio è una delle storie possibili; utile al fine di comprendere i fenomeni sociali.
Perché, di fatto, è di collettività che stiamo parlando; non possiamo discutere di cose umane allontanandoci dall’uomo, dal suo processo evolutivo. A tale proposito guardo con simpatia, mista ad ammirazione, al lavoro di Stefano Benni “Bar Sport”; in grado d’individuare, con ironia surreale, alcuni aspetti fondamentali che animano la società: quello associativo e le passioni in comune; queste ultime fonte d’inesauribili dibattiti.
Citando Benni:” L’uomo primitivo non conosceva il bar. Quando la mattina si alzava,nella sua caverna, egli avvertiva subito un forte desiderio di caffè. Ma il caffè non era ancora stato inventato e l’uomo primitivo aggrottava la fronte, assumendo la caratteristica espressione scimmiesca. Non c’erano neanche bar. Gli scapoli, la sera, si trovavano in qualche grotta, si mettevano in semicerchio e si scambiavano botte di clava in testa secondo un preciso rituale. Era un divertimento molto rozzo, e presto passò di moda. Allora gli uomini primitivi cominciarono a riunirsi in caverne e a farsi sui muri delle caricature, che tra di loro chiamavano scherzosamente graffiti paleolitici. Ma questo primo tentativo di bar fu un fallimento. Non esistevano la moviola, il vistoso sgambetto, il secco rasoterra, il dribbling ubriacante e l’arbitraggio scandaloso, e la conversazione languiva in rutti e grugniti.”
Questa ricostruzione scherzosa della vita dell’uomo evidenzia come l’autore sia ben conscio del fatto che l’essenza stessa di un individuo è definita a partire dagli interessi che nutre; sono gli interessi come il calcio che danno luogo, spontaneamente, a una qualche forma di sapere comune.
In conclusione: da Pasolini a Galeano, passando per le riflessioni stralunate di Benni, riusciamo ad intravedere un senso di continuità e un possibile riscatto per un calcio attualmente malato.
Questo sport porta con sé le soluzioni al degrado: bisogna smentire quanti ragionano solo in termini economici, quanti hanno dimenticato le radici effettive e, colpevolmente, credono che una disciplina possa essere di proprietà di chi ha grandi disponibilità economiche. Dinamiche legate ai diritti d’immagine, agli interessi, ai diritti televisivi possono essere descritte dai soli numeri, sono terreno di caccia per fondi esteri dal budget pressoché illimitato; sotto questo aspetto il calcio è in mano ai capricci della borsa, al ricco di turno ma, nonostante ciò, questo movimento non va avanti a suon di milioni, non appartiene ai fondi monetari: se non vi fossero il lavoro costante, la partecipazione, la passione, la fatica, il fiuto (elementi che non sono legati a doppio nodo con le ragioni del denaro ma rispecchiano l’interesse sincero di una realtà sportiva al di là degli “interessi” delle società) neanche la “ruota della fortuna”, che fa girare le compravendite, potrebbe iniziare a girare.
Bisogna ritrovare le energie genuine, riscoprire scenari perduti: solo così potremo ridare vita alla manifestazione agonistica più bella e seguita nel mondo.
Gianmarco Cerotto
riproduzione riservata