Mi piacerebbe parlare di calcio giocato ma, quando alcuni aspetti fondamentali decadano, è impossibile concentrarsi su altro. Per quanto la legge del campo debba essere l’unico metro di giudizio per valutare una realtà sportiva, quando il rapporto con le istituzioni supera un certo livello di guardia, si fa teso e mette in pericolo il normale corso della vita sociale, tutto ciò che riguarda il gioco passa in secondo piano.
In Italia il capitolo stadi e violenza sembra non avere una fine ciò non perché, come si pensa (o, meglio, come è facile pensare), nel nostro Paese c’è una qualche maledizione che rende il territorio incapace di evolvere ma, piuttosto, perché nessuno desidera realmente la stabilità. L’Italia non è una polveriera, non deve per forza essere un luogo di sogni infranti, l’Italia è una Nazione che, negli anni, ha imparato pochissime lezioni ma che, sfortunatamente, ne sa insegnare una che nessuno vorrebbe imparare: c’è sempre tempo per farsi male da soli.
Il tempo del rimedio, il tempo delle ferite sanate può esserci a patto che non si cerchi, una volta di più, d’incidere la propria carne. Chissà perché, quando penso al nostro Paese, ho sempre questa visione: un uomo che si ferisce aspettando in maniera impaziente non una cura ma una lama più affilata per andare più a fondo.
Ci sono avvenimenti che rimangono impressi..
Come dimenticare gli episodi di guerriglia urbana scoppiati il 2 febbraio 2007 in occasione dell’incontro Catania-Palermo: fuori dallo stadio si registrano episodi di violenza, scontri con le forze dell’ordine; all’ interno si verificano lanci di petardi e fumogeni all’indirizzo dei tifosi palermitani e l’intervento delle forze dell’ordine che, a loro volta, lanciano lacrimogeni contro gli ultras etnei. Intorno allo stadio si apre uno scenario dominato da cassonetti incendiati, sassaiole, lancio di oggetti e di petardi.
Una battaglia che le forze dell’ordine hanno controllato a stento. Circa 1.500 gli uomini di polizia, carabinieri e guardia di finanza schierati al”Massimino” impegnati già durante la gara, e al termine in scontri durissimi con gli ultras impazziti. Il pronto soccorso degli ospedali”Garibaldi” e “Vittorio Emanuele” sono stati intasati dall’arrivo delle decine di feriti, tra i quali moltissimi uomini delle forze dell’ordine.
Numeri da capogiro, scene ancora impresse nella mente: Piazza Duomo ridotta ad una colonna di fumo, la tragica morte di Filippo Raciti, colpito al fegato con un sottolavello di lamierino da due tifosi del Catania. Questa tragica morte mette in risalto il rovescio della medaglia; da una parte un uomo con vent’anni di servizio in polizia, donatore di organi, sangue, volontario della Croce Rossa insieme alla moglie dall’altra i suoi aggressori, Daniele Natale Micale e Antonino Speziale, minorenni (il fatto che fossero minorenni aprirebbe un discorso molto più ampio; per avere un giusto spazio, meriterebbe un articolo a sé stante che, per molti versi, travalica i confini del calcio per entrare in ambienti di riflessione sociologica).
La pronta reazione del mondo del calcio è annunciata dal Commissario Straordinario della Federcalcio Luca Pancalli che, in accordo con il Presidente del CONI Petrucci, stabilisce lo stop a tempo indeterminato di tutti i campionati da quello maschile al femminile, dalla Nazionale maggiore all’Under-21. Questa linea molto dura viene arginata e, già a partire dal 7 febbraio, ricomincia il Torneo di Viareggio e, poi, dall’11, dello stesso mese, riprendono i campionati. Lo stadio Massimino, secondo una disposizione del giudice sportivo del 14 settembre, viene squalificato fino alla fine della stagione 2006-2007.
Dodici anni prima, la domenica del 5 febbraio 1995, dopo la morte di Vincenzo Spagnolo, tifoso rossoblù accoltellato in occasione dello scontro di Campionato Genoa-Milan, l’intero mondo dello sport, e non solo il calcio, si fermò.
Decisamente più recenti i fatti di Italia-Serbia (12 ottobre 2010) che vedono protagonista ancora, suo malgrado, la città di Genova:
Questa volta è il tifo straniero a mettere i brividi; d’altronde, i fenomeni di violenza, in generale, sono il prodotto di un disagio sociale più ampio ed una situazione politica disastrata. La Serbia è, infatti, falcidiata da fenomeni di ultranazionalismo; ancora vittima dei fantasmi di un passato recente.
Inoltre gli inni alla Trinità, gesto (braccio teso e la mano intenta a riprodurre il numero tre che indica l’orgoglio serbo nei tre elementi Dio, Patria e Zar) ripetuto dai tifosi folli e riprodotto dai giocatori, sotto questo aspetto ostaggio delle circostanze, rende evidente l’allusione alla polemica attuale dell’ingresso della Serbia nell’Unione Europea; ingresso chiaramente visto con cattivo occhio dagli estremisti di destra. Gli intrecci tra sport e politica sono agghiaccianti.
I protagonisti delle violenze, a stento riesco a definirli tifosi, dopo aver messo sotto assedio la città, distruggendo alcuni negozi, hanno portato il caos all’interno dello stadio, costringendo il direttore di gara a numerosi stop per poi decidere, in via definitiva, di bloccare il match.
Su tutti spicca Ivan il Terribile, nome di battaglia di Ivan Bogdanov; il più allucinato tra i serbi che si issa cavalcioni sulla rete della curva; con occhio folle a volto coperto esibendo il corpo muscoloso e tatuato e, inoltre, un “fiero” saluto romano. Sarà arrestato solo alle tre di notte e, anche in quell’occasione, prende la scena; a torso nudo con un sorriso di sbieco in segno di evidente sfida.
Ci si augurava che, dopo certi esempi di violenza palese e grezza, l’ambiente di Genova si fosse sensibilizzato ma, la sponda rossoblù, si rende protagonista, il 22 aprile 2012, in occasione del k.o casalingo con il Siena per 1-4, di azioni al limite tra il sequestro e la sola intimidazione.
Al minuto otto del secondo tempo il Genoa subisce il quarto gol, dopo i tre presi nella prima frazione di gioco; è una squadra inerme che non riesce ad arginare gli attacchi avversari.. Un manipolo di tifosi, dalla Curva Nord, sfonda i tramezzi interni e raggiunge la zona Distinti al di sopra dell’accesso al tunnel per gli spogliatoi. La contestazione violenta segue con lanci di fumogeni e minacce ai giocatori di casa; in particolare la richiesta di togliersi le maglie che, a loro detta, non erano onorate.
L’arbitro Tagliavento sospende il gioco che, poi, riprenderà dopo una serie di trattative, non convenzionali, con i tifosi: i giocatori, con l’avallo del Presidente Preziosi, accorso sul campo di gioco, cedono al ricatto e si tolgono le maglie; la scena più forte sarà quella di Mesto in preda ad una crisi di pianto.
Queste situazioni estreme sono il punto da cui ricominciare; l’esercizio della memoria è l’unico mezzo per trovarsi preparati a non commettere gli stessi sbagli.
Gianmarco Cerotto
riproduzione riservata
Articolo modificato 16 Nov 2012 - 22:23