Fammi cercare, fammi rovistare tra i rovi delle parole che i mass-media non mi hanno sverginato, fammi pensare…ah, ecco, ho l’inizio.
Aurelio, ho qualcosa da dirti. Ho eliminato le formule cortesi perché creano impaccio, stabiliscono una distanza e impediscono al pensiero di presentarsi così come vorrebbe, nudo e sincero. Aurelio dove sei? L’America che forma ha? Cosa pensi quando pensi a Napoli e al Napoli? Sabato, dopo tanto tempo, eri di nuovo nell’ovale magico, ma sul tuo viso non c’era magia, ma stanchezza; una malinconia di un uomo che non si diverte più con il suo giocattolo; un uomo assente agli altri e al delirio di un popolo, impassibile e stanco registratore di un’emozione che sembrava non essere più tua.
La città questo l’avverte, e si rimpicciolisce nella sua coperta invernale, davanti al suo caffè che fissa vuoto. Manca il padre, e se arriva, non parla, perso nei suoi pensieri che vorrei penetrare. Parla Aurelio, parla. Già in città (ma non offenderti, sai come siamo fatti noi napoletani delusi) si chiacchiera che sei in America a sperperare la cessione di Lavezzi, il botteghino sempre colmo del S.Paolo. Parla Aurelio, hanno e abbiamo solo bisogno di una tua parola, di una rassicurazione che ci plachi l’angoscia.
Aurelio, Napoli ti adora, e tu lo sai. Ma non perdona chi la seduce per poi lasciarla ai bordi della strada nuda e insanguinata. Stasera non ci sarai di nuovo, un’assenza che pesa...e allora il muratore che si sobbarca aereo e albergo con i suoi risparmi si sente in diritto di giudicare la tua assenza, si sente investito della facoltà di giudicarti sulla tua passione.
Aurelio torna. Questo avevo da dirti, questo ti ho detto.
Carlo Lettera
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Articolo modificato 22 Nov 2012 - 18:44